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venerdì 5 gennaio 2024

Ritorno al futuro, in direzione ostinata e contraria

Di nuovo al blog personale, dopo tanto

Ritorno a usare questo blog, dopo tanto tempo, perché ci sta, e anche perché chissà forse è un modo – riprendersi gli spazi, usarli, insistere a cercare la comunicazione che da qualche parte forse può passare – per invertire quel “trend” nefasto per cui miliardi di piccoli comportamenti quotidiani regressivi stanno portando probabilmente il pianeta alla catastrofe (e lo scrivo da inguaribile, ostinato ottimista, che però cerca di usare quel poco di intelligenza che ancora gli rimane, invece di spenderla come si usa oggi a descrivere le meraviglie di una intelligenza artificiale che comunque intelligente non è, perché banalmente non ha coscienza di quello che fa!)

The Children's Virtual Museum of Smal Animals


Non riesco a non citare l’esempio incredibile freschissimo di una donna famosa che, nell’annunciare al mondo di essere mamma, pubblica una foto in cui nasconde la faccia della bambina! Ricordo che le leggi sulla riservatezza erano in origine per evitare che io pubblicassi la foto di tuo figlio senza dirtelo, ma sembra che oggi io stesso trovi automatico e normale censurare le foto del mio bambino/a, perché se l’immagine di un neonato è visibile in rete, chissà cosa gli potrebbe succedere! Ma siamo pazzi? Siamo una società che ha paura dei sorrisi dei bambini (tranne quelli della pubblicità!) e ha eletto il pensiero morboso a pensiero dominante, così come sponsorizza di fatto il bullismo nelle scuole, che ormai è la prima preoccupazione di tanti bambini nel passaggio dalla scuola primaria alla secondaria. Cioè, un problema che avrebbe una dimensione contenuta, a forza di “combatterlo” diventa dominante, centrale nel pensiero e nella vita delle persone e delle società. Come quando negli anni 80 l’occidente organizzò le prime “missioni di pace“ in Somalia perché c’era il “pericolo” dell’integralismo islamico. Per quel poco che vale, in quegli anni poche donne musulmane portavano il velo, le studentesse afgane giravano in minigonna, e dopo il nostro sollecito intervento, nel giro di pochi decenni, sappiamo come sono andate le cose. Potremmo chiedere all’intelligenza artificiale di spiegarci perché, per “difendere” alcuni dei nostri figli da un eventuale pericolo estremamente remoto, stiamo crescendo una intera generazione nella paura. Che, sappiamo, è la madre di ogni violenza.

Siamo noi i responsabili, tutti insieme, del disastro presente

Miliardi di post e interazioni sulle diverse piattaforme sociali - da utenti passivi di televisione che credono si tratti sempre e solo di consumare prodotti altrui, non ce ne rendiamo conto – in realtà giorno per giorno cambiano il mondo, e non certo per il meglio. Se non fossimo tutti a contemplare in modo narcisistico (e masochista?) la nostra immagine spavalda o spaventata nello specchio, magari ce ne renderemmo conto, vedremmo come, per inseguire “tendenze” che si affermano nei pollai online frequentati da una maggioranza di analfabeti, si è nel tempo degradata anche la comunicazione audiovisiva professionale, stravolgendo l’idea stessa di informazione.

E il bello è che tutti crediamo che le cose le decidano i “giganti del web”, e che noi non contiamo niente. Come quando Google (probabilmente il gigante dei giganti, tra il motore di ricerca quasi in monopolio, YouTube e l’80% dei telefonini Android) cercò a un a un certo punto di farci lasciare Facebook e Twitter per il suo Google +. Chi se lo ricorda?

The Children's Virtual Museum of Smal Animals
Siamo noi che decidiamo, non come singoli ovviamente, ma come il più potente super organismo che si sia mai visto sulla faccia di questa terra (altro che le api!). Nessuno di noi conta singolarmente (gli influencer un po’ di più, ma neanche tanto!), e però mettendo insieme miliardi di minchiate interconnesse in tempo reale attraverso tutto il pianeta, esercitiamo letteralmente a casaccio il più grosso potere mai visto nella storia. E dato che nemmeno immaginiamo di farlo, devolviamo di fatto quel potere a una politica che il disinteresse di noi cittadini consegna ogni giorno di più alla finanza e al mercato, e a imperi del web che noi stessi costruiamo e facciamo grandi con i nostri clic. Altro che le psicopatologie di massa degli anni 30 e 40 del secolo scorso! Non so se la singola ape sappia che fa parte di un super organismo. Ma se ognuno di noi si rendesse contro del fatto banalissimo che tutte le volte che “postiamo” un frase o un’immagine produciamo informazione, il mondo già domani sarebbe un posto migliore!

Le risposte dei bambini

Oggi, i bambini di cui si “protegge” l’immagine sono sistematicamente nascosti alla coscienza sociale, di loro si raccontano sciocchezze inimmaginabili a cui credono tutti, come la fanfaluca dei nativi digitali, e così li si consegna al bullismo, al disagio giovanile, al deficit d’attenzione e in definitiva agli psicologi.

Ma di fronte a una società che non vuole crescere né progredire, devastata dalle ideologie novecentesche della velocità e della competizione, per cui tutti corriamo come matti senza sapere dove andiamo, i bambini, quando li metti nelle condizioni di giocare insieme in un contesto diciamo protetto, cioè oltre gli stereotipi del consumo e delle relazioni sociali difficili, con adulti garanti delle regole e disposti ad ascoltarli, sono loro che ti insegnano, e che forse ti possono indicare una possibile via di salvezza, perché hanno ancora qualcosa che a una certa età spesso si perde: la voglia, la gioia, la curiosità di vivere.

Lavorare con loro negli anni 1980 era una fantastica scuola di vita, e lo è anche oggi oggi, perché i bambini non cambiano. Scriveva Walter Benjiamin nel 1928: “I bambini stanno in scena e istruiscono e educano gli attenti educatori!”. E Gesù Cristo: “Se non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”.

The Children's Virtual Museum of Smal Animals
Io ho cercato di parlare di quello che mi davano bambini, di scriverlo citando quello che vedevo e anche le loro esatte parole, in libri sull’animazione teatrale, sui bambini e l’ambiente… Boh? Facevo video che sapevo diversi, li proponevo ai media educator e anche ai professionisti, che per lo più sentenziavano con la frase standard, sempre uguale: Belli, ma non adatti alla TV!” Salvo poi magari dopo 10 anni dirti: “Sai, ho rivisto quella cosa, era nuova e interessante!” Mentre in Italia nella RAI l’interesse per i bambini a poco a poco svaniva completamente

Adesso, per mettere insieme e pubblicare qualcosa come un pensiero un po’ allargato sulla società presente (non solo guardare il mondo da un oblò, come sembra abbiano scelto di fare molti anche illustri intellettuali nostrani ) e lo spreco pazzesco di tecnologia, con l’esortazione però a darci una mossa, ho dovuto puntare su una una casa editrice americana, che si rivolge al mercato accademico (ahi, i prezzi!) e comunque mi ha accettato l’argomento e poi ha sottoposto lo scritto a una revisione credo non banale. Boh, non so se sia davvero il segno credibile che non sto delirando per conto mio… comunque il libro sta uscendo adesso.

Farsi il sito web offline

La ragione per cui pubblico questo articolo nel blog “Tools Strumenti” è perché – dopo anni in cui il mio indirizzo web in realtà dirottava su siti gratuiti on line, in cui uno può anche sbizzarrirsi a partire da modelli interessanti e d’effetto, ma che alla fine ti limitano entro schemi più o meno rigidi e comunque non tuoi, e a cui collegare un dominio costa non poco - sono tornato finalmente a realizzare il mio sito web con un software sempre facile e grafico (non maneggio l’HTML) ma che, mentre lo usi, impari come si fa! Che è poi quella cosa per cui negli anni 80 e 90 del secolo scorso gran parte delle novità tecnologiche non arrivano dal mercato delle grandi aziende (che fornivano essenzialmente l’hardware), ma dall’iniziativa libera e collaborativa (non sempre volontaria, qualcosa si rubavano l’un l’altro! 😸) di tanti appassionati che, oltre a scaricare app, dettavano comunque, con le loro soluzioni software, anche alla stessa industria strade verso il futuro non ispirate al Grande Fratello, a Star Trek, agli Avengers o ai cartoni animati dei Pronipoti, che invece – in mancanza nei decenni di una alfabetizzazione digitale minima della massa dei consumatori - sono tornati ad essere il riferimento culturale degli anni 2020, così come dei 1960!

The Children's Virtual Museum of Smal Animals

Ad ogni modo, per storie mie e anche per una questione di costi, in passato, dopo tante prove ed esperimenti, avevo realizzato i mie siti web off line usando il software Web Plus, della Serif di Nottingham (of course!). Causa i miei limiti tecnici come webmaster e come grafico, non avevo fatto grandi cose, ma cercavo comunque di mettere insieme pagine navigabili, avendo in mente le cose che volevo comunicare, piuttosto che criteri astratti da seguire per “fare un sito web”, frase completamente priva di senso, dato che in un sito web ci può stare ogni espressione possibile dell’esperienza, comunicazione, azione e pensiero umani, e quindi solo pensare che esista una regola “generale” da seguire è una bestialità. Oggi, la maggioranza usa un software online che sarà anche un cavallo di razza, ma – a parte che pensato originalmente per i blog magari potrebbe non essere il più adatto per organizzare, che so, una esposizione universale! - diciamo che è piuttosto difficile da domare, per cui alla fine moltissimi siti web si assomigliano in modo imbarazzante.

La prima regola della comunicazione – che segna il successo o meno degli spot pubblicitari – è la capacità di distinguersi, in modo che mentre mi legge o mi guarda, il lettore, osservatore, cliente non pensi a qualcun altro. E prima che seguire webinar raffinati sulle regole del SEO, per catturare i visitatori unici che passano di lì, chi vuole farsi notare sul web immagino dovrebbe – ditemelo, se sbaglio! - avere pagine che alla prima occhiata non si confondano con quelle degli altri.

Dopo di che, gli esperti di comunicazione on line ti spiegano anche che su una pagina web i navigatori si fermano, quando va bene, pochi minuti. Cioè, gli stessi che poi perdono ore sui social network e che qualcuno crede che un domani si caleranno con entusiasmo negli ambienti immersivi del metaverso? Ma ci pensiamo al significato di quello che ci diciamo e scriviamo?


Se sui siti web la gente non si ferma, significa che così come li stiamo facendo non funzionano. Punto! E siamo condizionati da una cultura televisiva passiva, da modelli di consumo fine a se stesso, che ci impedisce per esempio di capire che lo sviluppo del Web non è determinato da ciò che vediamo o scarichiamo, ma da ciò, globalmente, che ci mettiamo. Ma forse è un ragionamento difficile per per chi dà per scontato che il potere della rete debba ridursi a supermercato, intrattenimento, o concentrato di burocrazia! E poi ci meravigliamo perché facciamo le guerre!
The Children's Virtual Museum of Smal Animals

A un certo punto a Nottingham comunque hanno smesso di sviluppare quel software, e poi il web builder non è stato più incluso nella nuova serie di applicazioni. Non potendo continuare a lavorare sul programma vecchio che ancora basava le gallerie su Flash ho cercato parecchio se c’era qualche applicazione on line versatile, e che non obbligasse ad abbonamenti costosi. Né l’uno nell’altro! Per cui torno a scegliere l’offline, soluzione che non è più complicata e alla fine ti restituisce anche il controllo su quello che fai. Provate cose forse ottime ma con cui davvero non c’era intesa, alla fine ho scelto WYSIWYG Web Builder, il cui aggiornamento di questi giorni mi propone ora di passare alla nuova versione integrata con l’intelligenza artificiale.

Quello che mi interessa è potere, all’occorrenza, agire su ogni elemento, i testi, le immagini, la navigazione (non come quando si ti dicono, saccenti: si può fare tutto, ma questa immagine più piccola no, quell’altra spostarla, nemmeno!). Anche se in questo caso, partito comunque da un “template” modificato, mi accorgo, nel riguardare, che il menu laterale a comparsa sulla destra, su uno schermo piccolo non scorre. Vado a vedere, provo altri parametri. Ora va bene, mi piace!

Come con un’automobile, un vestito, uno strumento musicale, credo che un software vada scelto non perché lo usano tutti, ma perché si incontra con il nostro gusto e ci permette di realizzare le nostre intenzionianche che, dopo tanta navigazione in rete, tutti noi dovremmo possedere almeno quella base di cultura latente su come funziona un sito web che, se anche non abbiamo il tempo di imparare a farci le pagine da soli, possiamo con un web master avere un rapporto di collaborazione, in modo da non delegare sempre a qualcun altro non solo la parte tecnica, ma anche la gestione delle nostri intenzioni e, in questa come in altre cose, sempre adeguarci.

Poi certi mostri in rete li vediamo tutti, ma qui si entra in un altro discorso…


domenica 23 agosto 2020

Audio video registrazione in casa

La canzone incomincia così: "Chiuso in casa per la pandemia / che cribbio posso fare?"

Nei miei 20 anni, sapendo strimpellare un po' la chitarra ed essendo pessimo come cantante, avevo composto a orecchio un certo numero di canzoni, non tutte da buttare e qualcuna perfino eseguita in pubblico. Ma erano altri tempi e un'altra storia.

La scorsa primavera, con le ordinanze che ci chiudevano in casa e la mia vecchia idea di fare un video da "sala di registrazione", mi metto dunque al pianoforte (campionato, in una tastiera elettronica) a pestare giù tre accordi. Quello che ne è venuto fuori alla fine, se volete potete ascoltarlo, a vostro rischio e pericolo, è qui.

 

La cosa comunque è tecnicamente interessante.

Per la parte musicale, ho usato una scheda esterna M Audio Fast Track acquistata diversi anni fa, compatibile con PC e Mac ma che, a quanto pare, ha qualche problema con le interfacce USB3, per cui ho dovuto connetterla a un computer vecchio (e qualche volte mi dice che il flusso dei dati non è abbastanza veloce!). Dispone di un attacco XLR per microfono e di uno tipo jack da 6,35 mm per uno strumento musicale. Quindi in questo caso ho potuto per esempio registrare il piano e la voce su due tracce diverse. La scheda veniva fornita con il software Pro Tools SE di AVID che - a parte che con Windows 10 non mi funziona più molto bene - consente la sovrapposizione di molte tracce audio e MIDI. Io il MIDI, dopo averlo provato negli anni 90 quando ancora usavo Amiga, l'ho lasciato perdere e lo conosco solo per quello che vedo fare da amici musicisti veri (anche se alcuni spiriti burloni hanno inserito il MIDI nelle conoscenze "base" - opzionali! - per la patente europea del computer, ma qui siamo decisamente sul surreale!) Comunque era per dire che, dopo le prime due tracce, ne ho sovraincise altre, sempre di strumenti che suonavo io, utilizzando a seconda dei casi il microfono o la connessione jack. Per la precisione: chitarra acustica ritmica e controvoce (insieme, con un antico microfono "casalingo" Sennheiser strepitoso e adattatore HLR-Jack ), basso, chitarra elettrica e "batteria". Il software contiene quello che serve per mixare e allineare le tracce, con anche un numero cospicuo di effetti per il canto, le percussioni, il basso e la chitarra elettrica (nel mio caso, le ho dato una buona voce, ma per quelli che in fondo si aspettano un assolo, beh, non ci siamo, troveranno un'altra cosa!)

Lo scopo non era solo incidere una canzone tutta da solo, ma anche, sempre da solo, vedere se riuscivo a farci un video (abbastanza folle ma, per imparare davvero, meglio di tanti corsi di aggiornamento!). Non un videoclip, ma le registrazioni dei vari "musicisti" (cioè sempre io!) all'opera, sincronizzate con i suoni prodotti.

Piazzo quindi 3 videocamere, un telefonino e una GoPro su treppiedi e supporti vari nella stanza dove registro piano e voce, e accendo tutto prima di incominciare la canzone. Ovviamente qualche volta sbaglio, rifaccio, e mi ritrovo alla fine con 4 video della registrazione giusta, perché la GoPro sul più bello si è messa a scattare fotografie in sequenza (non era quello che le avevo chiesto, ma non la usavo da molto e devo aver sbagliato a toccare qualcosa).

In quei giorni mi sto esercitando con la versione gratis di Da Vinci Resolve e provo a fare il primo montaggio con quello. Non riesco a usare la funzione che sincronizza video diversi a partire da un sonoro comune (posso capire il software: dato che il piano andava direttamente nella scheda, via cavo, quello che hanno potuto registrare le videocamere è la mia voce!) e allora faccio manualmente: per ogni video vado a cercare un punto di aggancio con la base sonora allineando sullo schermo la grafica del suono. Molto artigianale, ma non così difficile in fondo, con zoom al massimo per potermi spostare avanti o indietro con precisione al fotogramma.

 Realizzo così un primo montaggio piano e voce, che non toccherò più.

Dopo di che lascio passare del tempo, mi taglio finalmente i capelli perché i barbieri hanno riaperto, e vado a registrare in modo analogo le tre tracce successive (chitarra ritmica, basso e chitarra elettrica), usando due videocamere e ambientando altrove (compreso un effetto chroma key non particolarmente brillante) e sempre alla fine sincronizzando a mano. Tranne la "batteria" virtuale su touch screen, che avevo provato solo in audio e senza troppa convinzione e che, quando ho deciso di farla entrare nel finale, ho filmato in playback (maluccio, a parte la rullata che sembra quasi vera, ma ormai la cosa mi usciva dagli occhi!) per tre brevi inquadrature.

Per non perdermi nel montaggio con una esagerazione di tracce nell'interfaccia non domata e nella ridondanza sempre in agguato di Resolve, finisco il lavoro con un software che conosco meglio: Magix Pro X.

In coda al video, la didascalia recita: "Social Pandemia / parole, musica, suono, canto video di Paolo Beneventi / in un delirio di megalomania?"

 

sabato 15 dicembre 2018

The right tools for work

In the end, maybe I have found my right free program for editing video subtitles. I do not know if it is “the best”, but I like it and find myself well in working with it. Or maybe I have met in the middle of the road that piece of software, just suiting to my taste at that point of my life and activities, so that we have begun to go together. Something like when two persons, even without a specific reason, fall in love! (smile!)

To choose the right tools is very important. Let me me go here from the very particular to the very general (sometimes we should do!), but I think that the habit of too many people not to look around, not to try, not to choose their own tool, suitable to their actual needs and taste, as just they take, for some defined tasks, always the most fashionable piece on the market, during the years has taken to death a great amount of good ideas hardware and software, has restricted the field of the possible solutions for many human problems, has driven most people to think and to do often in the same way, not taking advantage of the huge possibilities of choices of the digital era, but rather contributing – together with more and more consumerist, individualistic, antisocial behaviours in a society whose situation would rather call everyone to sharing, participation and active citizenshipto address the world towards the Pensée unique, with great danger for the future of the planet itself and for democracy, as many recent events and political trend show.
I think that if for instance, programs like Power Point or Word Press, good indeed for their specific tasks (hall presentations and writing blogs on line, above all, and obviously much more, but just for those who like and choose that way of working), are used for years by everyone for everything, for any multimedia authoring of web mastering purpose, without even thinking of the possible existence of alternatives - or worse killing in this way most of the competitors, not because of a real costumers' choice, but because of an “a priori” renounce to look around and choose - that is a contribution in fact to the building of the main road to mainstream ideological conformism.

It is a matter of basic literacy in nowadays world, to be able of moving across a more and more redundant environment recognizing, selecting and choosing hardware and software according to what we have or like to do; every school should teach to kids this first. Then, our choices can be right of wrong, but it is life.
But now I am glad as I can put here the text of subtitles just according to the picture of the sound of voices, with easy and great precision. Even the wave seems to match automatically the length of sentences, when I paste them (but never trust too much in the automatisms, and here manual corrections are very simple and natural!)
Other programs probably may do the same, but for now I have met this one! (smile!). Searching, watching, choosing...

martedì 23 gennaio 2018

Gli strumenti per fare il video, 2


Nell'articolo precedente, si è raccontato come i bambini possono facilmente fare in prima persona della buone riprese video. Le semplici regole da seguire sono, in sintesi:
  • tenere sempre ben ferma la videocamera, anche quando la si muove
  • fare riprese brevi, e alla fine di ogni "frase", staccare
  • prima di ricominciare, cambiare il punto di vista.
In questo modo, il girato avrà facilmente un suo aspetto dignitoso anche senza montaggio (che però in ogni caso, per un prodotto finale presentabile, ci vuole).

Poi si è accennato al fatto che alcuni strumenti abitualmente usati per le riprese video, in particolare le macchine fotografiche, presentano problemi nella cattura del sonoro. Ma in generale è l'ambiente scolastico in sé – cioè il luogo più naturale dove i bambini possono girare i loro film – ad essere rumoroso (i corridoi), rimbombante (le palestre) e anche nell'aula momentaneamente più silenziosa (l'attenzione all'attività può fare miracoli) ci sarà sempre qualcuno che non sta fermo nel banco e i rumori delle sedie sul pavimento sono micidiali.
Purtroppo solo le videocamere di un certo livello e le fotocamere reflex hanno l'attacco per le cuffie audio, così come per un microfono esterno direzionale che – ne esistono di buoni a prezzi non proibitivi – può migliorare drasticamente la qualità del parlato. Dal punto di vista dei bambini poi, per cui la "rappresentazione" come un gioco di quello che stanno facendo conta come e più dell'azione stessa di fare il video, mettersi le cuffie e stare attenti al sonoro è altrettanto importante che osservare le inquadrature dentro il display, così come potrebbe esserlo – ma in questo caso si va oltre una pur buona dotazione amatoriale – il tenere a mano un microfono professionalmente appeso a una "giraffa". Quest'ultima operazione si può simulare evitando di agganciare il microfono esterno all'apposita staffa sulla macchina da ripresa e dandolo in mano a un bambino, che lo deve poi puntare in accordo con la direzione dell'obiettivo. Dal punto di vista della motivazione e del "gioco", è certo molto più coinvolgente e appagante che fare le riprese con un telefonino.

Tra gli accessori, sottovalutato da molti, il treppiede con una testa video fluida e apposita manopola da usare per le panoramiche - può fare la differenza nei nostri video dall'invedibile al quasi professionale. Anche se le macchine di oggi sono spesso molto leggere, anche solo per sostenere un telefonino – per cui esistono pratici ed economici adattatori a molla - serve un aggeggio stabile, con i piedini ben piantati per terra che consenta movimenti esatti e armonici. Anche senza andare su prodotti di gamma medio-alta con testa intercambiabile, vale la pena davvero in questo caso di spendere qualche euro in più (non tanti, comunque), tenendo conto che un buon treppiede dopo dieci anni è praticamente ancora nuovo.

Il montaggio è la grammatica del video, che consente alle nostre produzioni di andare oltre le frasi sconnesse per comporre discorsi compiuti, con un loro senso. E non si fa con un telefonino!
Tagliare e incollare seriamente un video vedendolo in un monitor di 5 pollici o poco più è un'impresa impossibile, nonché uno strazio per gli occhi di chiunque e, anche se esiste software per smartphone e tablet, in certi casi decente, eventualmente utile per operazioni al volo o di emergenza, per fare un montaggio vero occorre un computer, possibilmente collegato a un monitor di grandi dimensioni, anzi meglio due, uno da cui si comanda il programma e l'altro per vedere il video a tutto schermo. Il tutto è molto più tranquillo di quanto non si creda, dato che si può utilizzare anche un comune televisore, collegato con un cavo HDMI.
Software di montaggio potenti e completi gratis – come per l'ufficio e la grafica sono Open e Libre Office o GIMP – a parte il buon vecchio iMovie di Apple (che non si può dire “migliorato” con gli anni!) non ce n'è. L'equivalente gratuito sul versante Microsoft, Movie Maker, non è più fornito insieme con Windows 10, si può comunque ancora scaricare, ma personalmente lo trovo piuttosto povero.
Ho provato poi diversi programmi indicati qui e là come “gratis” che, o non lo sono davvero, o offrono prestazioni decisamente limitate, o sono comunque poco utilizzabili dai non esperti. Senza per forza rivolgersi a software professionale, come Adobe Premiere, Vegas Pro (ex Sony), Magix Pro, o Final Cut sui Mac, ci sono però diverse applicazioni che costano qualche decina di euro e che permettono la realizzazione facile e intuitiva di montaggi di grande qualità, con tante piste audio e video, titoli, transizioni, elaborazioni di ogni tipo ed effetti speciali che solo pochi anni fa erano impensabili fuori dalle grandi case di produzione. Provandoli anche solo in alcune delle loro funzioni, anche i bambini facilmente ritrovano gran parte della cultura televisiva latente che proviene dalla loro comunque grande esperienza di telespettatori e possono toccare con mano cosa vuol dire essere “dall'altra parte”, quella dei produttori di informazione. Cosa che con software di puro taglia e incolla, oppure troppo “automatici”, non succede.
Si può scegliere tra programmi appositamente prodotti per il mercato amatoriale (Pinnacle Studio, Corel Video Studio), e versioni ridotte di programmi professionali (Premiere Elements, Magix Video Deluxe, Vegas Movie Studio), che più o meno si equivalgono, dipende anche dai gusti. Un caso a parte è Hit Film Express, un software dall'impostazione piuttosto professionale, gratuito nella versione di base, molto interessante, forse non del tutto intuitivo per i neofiti, ma a mio pare da provare senz'altro. Si può espandere inserendo a pagamento uno per uno una serie numerosa di moduli – ma per avere in mano già un buon programma bastano una ventina di euro - che tutti insieme fanno Hit Film Pro.
Altra finestra gratis sulle produzioni video professionali, soprattutto sulle operazioni che si possono effettuare sul colore (e ci si potrebbero inventare sopra unità didattiche entusiasmanti, che aprirebbero mondi di immaginazione e conoscenza ai ragazzi!), è Da Vinci Resolve, anche se personalmente l'ho provato finora meno di quello che avrei voluto, per problemi subentrati con al mio hardware datato.

venerdì 1 aprile 2016

C'è una app per tutto? Ma anche no, per carità!

Ci sono applicazioni che servono per fare le cose. Una volta le chiamavamo “programmi” o “software”. Servono per scrivere questo articolo, per elaborare una foto, per fare musica, per collegarsi alla rete come utente o per organizzare il proprio sito web o il blog. Vanno installate sul computer, telefonino, tablet, oppure sono utilizzabili direttamente on line. Cosa sia meglio, dipende dalle circostanze, dai gusti, dalle abitudini di ognuno.
Io per esempio, per scrivere cose come questo articolo preferisco in genere lavorare off line con un programma di testi installato nel computer e poi incollare quello che ho scritto nella maschera del blog, che si basa invece se un software residente in rete. A volte mi capita di avere idee mentre sono in giro, e allora incomincio a scrivere direttamente dallo smartphone, depositando il contenuto in rete in uno spazio mio nel cosiddetto cloud, che è sincronizzato con tutti i dispositivi che uso. Di modo che poi possono continuare il lavoro con il tablet, il pc portatile, o anche il tower di casa. Ci sono programmi per cui adopero solo il pc grande, per esempio per montare i video, utilizzando due monitor. Mentre il software per accordare la chitarra è decisamente più comodo sul telefonino!
Ci sono però app che non sono programmi veri e propri, ma più propriamente “scorciatoie” verso pagine web, che in maniera più agile e rapida mi collegano direttamente alla banca, al provider telefonico, all'agenzia di viaggi, e così via. Se sono servizi che uso spesso, conviene installarle. Convengono anche per esempio quelle che da una sola schermata di partenza consentono di accedere a gran quantità di giornali, TV, radio.
Ma se un servizio lo utilizzo solo una volta ogni tanto, oppure se il link alla pagina di Wikipedia mi viene dato in tempo reale da un motore di ricerca, eventualmente combinato con un “assistente personale”, il tutto con la rapidità del wi-fi o del 4G, è molto più comodo e agevole usare un solo browser, eventualmente con la sua bella lista di “preferiti”, che non una quantità spropositata di app, che mi intasano inutilmente la memoria del telefonino.

E invece, siamo alle solite. Nel momento in cui si introducono le innovazioni, a decine, a centinaia, ogni “innovatore” che ci si propone si comporta come se ci fosse solo lui. Tutti, per “facilitarci la vita”, ci impongono un nome utente e una password, e adesso anche ci vincolano ad una apposita app, naturalmente da scaricare e installare. Decine, centinaia di app, che ci consentono di fare cose prima impossibili come, per esempio, ordinare una pizza!

Ognuno ovviamente col suo telefonino e tablet ci fa quello che vuole ma, tra gli effetti collaterali di questa inflazione di app monouso e monodose, a prova di analfabeti, c'è proprio una caduta tendenziale del tasso di alfabetizzazione necessaria per poter utilizzare gli aggeggi digitali che, se da un lato permette a tutti, proprio a tutti, di usarli (democrazia?), dall'altro abbassa il livello di consapevolezza collettiva di quelli che in fondo sono soltanto i linguaggi su cui si basa la società dell'informazione, che ormai tutti parlano, che pochi sanno leggere e sempre meno, in percentuale, sanno e sapranno scrivere.
Così, non solo i computer, che sono le macchine con cui si fa la società dell'informazione, ormai appaiono nell'immaginario collettivo come dispositivi obsoleti e in via di estinzione, perché su facebook si va più comodamente con un tablet (!), ma la stessa rete telematica planetaria viene sempre più frequentata da gente che forse nemmeno lo sa di essere in rete, che vi accede come a un supermercato globale che offre servizi ai suoi clienti, senza più neanche l'idea che ci sono rotte attraverso cui si può navigare, link che magari potremmo organizzarci noi, perché ogni indirizzo e ogni funzione vengono raggiunti direttamente attraverso un apposita app.
È la morte del web, la rinuncia alla cittadinanza attiva digitale, la “comodità” che alla lunga uccide la consapevolezza del mondo, virtuale o reale che sia, in cui viviamo.
Fino a ieri si diceva: vai a vedere il nostro sito.Troppo difficile! Ora si dice direttamente: scarica la app! E il processo di de responsabilizzazione è completo!

Forse non è una caso se in anni recenti, alla sempre più planetaria e capillare diffusione di “tecnologia”, non si può certo dire corrisponda un aumento dei livelli di partecipazione democratica, dialogo, conoscenza reciproca e collaborazione tra gli umani. Ma si tratta di due discorsi che forse non hanno alcuna relazione tra di loro, anzi, sicuramente richiedono due app differenti!

martedì 25 agosto 2015

Generazione iStupid: Il Nulla e le Mappe

Proseguo con la ripubblicazione di articoli già messi on line a suo tempo in myblog. Questo è del 3 ottobre 2014

Da tempo, di fronte a un conformismo 2.0 imperante e a mio parere estremamente nocivo, sento il bisogno di sostenere che, dal punto di vista del rapporto tecnologia umani, dopo gli anni della partecipazione e condivisione che, verso la fine del secolo scorso, hanno reso possibile la rivoluzione digitale, siamo ormai in piena, galoppante regressione. A potenzialità teoricamente enormi e illimitate (per chi già le conosce!), corrisponde sempre più una offerta effimera e quasi esclusivamente commerciale che non solo non allarga, ma restringe di fatto l’utilizzo che la maggioranza delle persone fanno di hardware e software. L’utente medio, attirato in ambienti protetti in cui altri pensano a tutto per lui, è declassato a passivo consumatore, e “sceglie” gli aggeggi per la loro bellezza, per l’immagine, per caratteristiche che spesso non hanno niente a che vedere con la loro efficacia e funzionalità.
Fino all’assurdo di computer da tavolo senza lettore di dischi ottici, che però hanno lo schermo sottilissimo (sarebbe come prendere una poltrona perché è aerodinamica!), e telefonini xxl che si piegano nelle tasche! E il cloud, invece di essere quel posto in cui,  se serve, se si vuole, si possono condividere archivi  e lavoro, sta diventando una specie di discarica virtuale planetaria, in cui la gente butta di tutto e di più ed è spinta a fare macchinosi, lenti e inutili (e a un certo punto costosi) backup di ogni pinzillacchera digitale che per sbaglio produce (con grande soddisfazione dei gestori di reti e anche dei pirati informatici, che nella nuvola ci sguazzano!)
Tra le cose in controtendenza, che non c’erano al tempo di noi nostalgici dei floppy disk da 5,25" (qui scherzo, mai usati: vedevo studenti sul treno che si scambiavano quei cosi molli e sorridevo, io che usavo da sempre quelli da 3”½!) e che vanno nella direzione dello sviluppo e non dell’atrofia dell’intelligenza degli umani, ci sono i software per le mappe concettuali: tanti, belli, a volte costosi, ma anche alcuni assolutamente gratis, o che si offrono a chi non ha necessità eccessive in una versione limitata e gratuita.
Rendere visivamente il pensiero, gli argomenti, le cose da fare, le relazioni tra il tutto… Per gli umani del 21° secolo, cresciuti nella cultura visiva (anche se molti ancora credono in buona fede di essere venuti su con i libri!), le mappe sono il pensiero che si chiarisce alla mente nel momento in cui si mostra, si fa immagine. E allora è possibile capire meglio, approfondire, o anche solo istintivamente “vedere” oltre certi punti d’ombra che si formano nelle elucubrazioni astratte, o anche nella scrittura verbale.
A parte le esportazioni grafiche d’effetto che, giustamente orientate alle presentazioni, espongono al rischio di cadere nel vacuo (20 anni di overdose da Power Point insegnano!), le mappe, per farle, l’umano ci deve pensare! E ogni software “pensa” in un modo un poco diverso, propone un suo approccio particolare, un differente punto di vista, in modo che, costi a parte, la scelta facilmente si potrà orientare sul programma che più sembra adatto e piace al singolo o al gruppo che lo deve utilizzare.
Resta il problema annoso di tutti quegli utenti che sono cresciuti con il software che passava il convento e che non sono abituati a provare, confrontare, scegliere. Ma, almeno da questo punto di vista, la consuetudine con smartphone e tablet – se non altro per il costo molto basso delle applicazioni e perché la loro memoria comunque non infinita sollecita ogni tanto a togliere cose per far posto ad altre – dovrebbe favorire un approccio meno ossequioso e più consapevole.
 pubbligato in myblog 3 ottobre 2014