lunedì 28 dicembre 2015

Il digitale e Babbo Natale!

Una buona abitudine che forse dovremmo prendere, in questo mondo che ci ripetiamo essere in continua e tumultuosa trasformazione, è quella di periodicamente ripensare certe categorie mentali attorno a cui il nostro pensiero ruota e si sviluppa, se permangono valide nel tempo o se a un certo punto si svuotano parzialmente o totalmente di significato. A cominciare dall'idea stessa della continua trasformazione, che non ci spiega come, se certi aspetti della nostra vita in effetti sono cambiati molto in pochi anni, altri ci sembrano addirittura segnati da una immobilità avvilente. Per non parlare dell'assioma secondo il quale le tecnologie informatiche sono una cosa da "giovani", che forse andrebbe un pochino rivisto, se non altro perché lo ripetiamo da oltre 40 anni! 

Molto suggestiva, al suo apparire, fu questa idea degli "ambienti di apprendimento digitali". Ma, a parte la bellezza delle parole, a un certo punto la domanda va fatta: ha davvero un senso parlarne? 
A parte questo articolo che sto scrivendo nel cloud, iniziato in treno su un tablet e completato poi nel browser del pc tower di casa, a parte le 3 mappe nel telefonino che mi danno una netta chiara visione satellitare anche di casa mia, a parte gli annunci di fine anno sui giornali che il 2016 ci porterà finalmente una realtà virtuale che funziona (e sarebbe anche ora!) dopo decenni ormai che ci smanetto, che animatamente ne discuto, che osservo da vicino adulti e bambini variamente trafficare con gli aggeggi informatici facendo di tutto, la parola "digitale" mi provoca un sincero fastidio, usata com'è ormai senza un significato preciso (che pure avrebbe) come un jolly universale per imporre al mondo un'ineluttabile  modernità legata alle leggi universali del mercato!

Dopo tanti anni di esperienza, direi anzi che si può incominciare a dirlo: non esiste un apprendimento "digitale"!
E' vero che sono cambiate e anche profondamente le forme di produzione, elaborazione, archiviazione, trasmissione e comunicazione delle idee, ma non si può non rilevare che, per esempio, le idee stesse che passano nelle comunità degli umani sembrano  ricalcare sempre più gli slogan della comunicazione pubblicitaria, piuttosto che beneficiare della ricchezza della rete. E le "descrizioni" del nuovo si svolgono per lo più per sillogismi: Siccome i "nativi digitali" stanno sul web o al telefonino, "quindi"... Dopo di che ognuno fa vangelo delle cose che crede di avere capito, o che si sta immaginando, e con quelle pretende di spiegare il mondo intero. 

Chiacchiere! Che in un libro stampato, un ebook, sul web o al bar, fondamentalmente chiacchiere restano, che ormai nessuno ascolta. Tanto è vero che, a dispetto di un'orgia di strumenti per comunicare mai così abbondante nella storia dell'umanità,  la comunicazione reale tra le persone, i gruppi, le culture, le etnie, le nazioni, sembra ogni giorno sempre più difficile. E sulle colonne parallele di giornali, blog, riviste web, convivono e non comunicano gli articoli che magnificano gli ultimi gadget digitali che una volta di più ci "cambieranno la vita" con quelli che parlano dei muri che si innalzano contro i migranti, come si trattasse di due pianeti distinti! 

L'impressione è che ci hanno messo al tappeto con una overdose di tecnologia che ci espone al rischio di una allucinazione digitale permanente, mentre un dio mercato proto industriale ripete all'infinito i suoi mantra obsoleti (il liberismo è un sogno del Millesettecento!) per non farci capire che con gli aggeggi, se li usassimo fuori dalla gabbia di ideologia in cui ce li confezionano e ce li vendono, forse potremmo davvero cambiare il mondo reale, o almeno agire in modo attivo sulla società civile, la politica, l'economia, la natura, l'ambiente, che viceversa, con lo sguardo fisso nel display del nostro smartphonepercepiamo rassegnati come sempre più al di fuori di ogni nostro possibile controllo. 
Il mondo reale, concreto, sensibile e sociale, non solo teorico e virtuale, che è l'unico vero ambiente salutare di apprendimento e di crescita per gli esseri umani. 

Ovviamente, queste sono le mie idee, per quanto non credo campate per aria, e non l'ennesimo vangelo, e mi piacerebbe sapere altri che cosa ne pensano, magari con un piccolo commento in questo blog. 

Mentre osservo un po' basito il suggerimento di viaggio sul display del mio telefonino, che mi indica con dovizia di particolari tutte le stazioni del treno locale che dovrei prendere da Milano verso la Brianza, ma che fino alla stazione di Brescia mi vorrebbe fare andare a piedi! Eppure, per gli spostamenti in città, la stessa app mi indica con precisione le fermate della metropolitana e tutti gli autobus, ma... evidentemente non riesce a mettere insieme le due informazioni. 
Meraviglie e limiti del "pensiero digitale"!

domenica 25 ottobre 2015

Libri di carta e ebook: “futuro” o ideologia?

Leggo su Facebook un post di Roberto Maragliano. C'è il link a un libro di Tim Parks, un libro di carta, che parla in modo ironico di certe abitudini dei lettori del giorno d'oggi, e da cui è tratta questa citazione, che mi lascia francamente allibito:
«L'e-book, eliminando tutte le variazioni nell’aspetto e nel peso dell’oggetto che teniamo in mano e scoraggiando qualsiasi elemento che possa distogliere la nostra attenzione da un preciso punto della sequenza di parole (la pagina già letta scompare, quella successiva deve ancora apparire), sembrerebbe avvicinarci all’essenza dell’esperienza letteraria più del libro cartaceo (…) . È come se fossimo stati liberati dai fattori estranei capaci di distrarci dal testo e potessimo concentrarci sul piacere intrinseco delle parole . ».
Irrispettosamente, ho commentato: “Eeehhh?”

Ma questo dove e come legge, e cosa scrive? E perché mai in questo mondo così “connesso”, tanta gente si può permettere di prendere la propria personale, particolare, limitata esperienza, o addirittura sensazione, per farne paradigmi generali con cui interpretare tutto quanto il mondo?
Chi ha scritto quelle cose, forse gli ebook li legge con un chip collegato direttamente al cervello, ma io per esempio li leggo per lo più su un tablet, dove mi compaiono avvisi di email e messaggi. La “Costituzione della Repubblica Italiana” ce l'ho addirittura su uno smarphone, così che la lettura mi può essere interrotta da una telefonata. E lo schermo poi, dispositivo Kindle o Kobo, PC, tablet o smartphone appunto, dimensioni e risoluzione, fattore di ingrandimento: ci sono diversi elementi materiali e variabili soltanto relativi allo schermo che si frappongono tra le parole e la lettura di un oggetto immateriale come un ebook!

C'è poi un commento che mi lascia una sensazione ancora più strana. Dice la sua autrice di amare i libri di carta, ma di considerarli la “memoria storica di una modalità di lettura che non mi appartiene più". Uno potrebbe anche pensare "problemi suoi", e invece no! Perché prosegue così:" "Mi spiace solo sapere che la scuola e gli insegnanti non riescano ad adeguarsi a questo nuovo mondo digitale".

Adeguarsi, “mondo digitale”? Ho paura! E faccio qui due considerazioni.

Il libro da taluni veniva dato per morente già nei primi anni Ottanta, con l'apparizione delle video cassette. Che cosa c'entrano il libro e le video cassette, va a saperlo, ma è un segno di come, più dei ragionamenti e delle considerazioni tecnologiche, in certi discorsi valga l'ideologia! Ci si fissa in testa un'idea di "futuro" e le capacità di pensiero critico si dissolvono come fumo al vento.
Di fatto, sono scomparse nel frattempo le video cassette, sia dai video registratori che dalle videocamere; sono a rischio di scomparsa i dischi ottici, CD audio, CD ROM, DVD video ecc., inglobati in quel mostro divora tutto che è il cloud, (e a mio modesto parere c'è da augurarsi per il bene dell'umanità che non succeda mai, perché il cloud, a differenza dei personal computer e del World Wide Web, ha i suoi padroni!); sono inutilizzabili le prime enciclopedie digitali uscite a suo tempo su dischetti da 3”1/2 e anche quelle che si basavano sulla compatibilità con Windows 3.1; sono scomparse le musicassette e i walkman; i dischi di vinile sono diventati una cosa puramente sfiziosa come le carrozze a cavalli per i turisti di Roma; i vecchi televisori attaccati all'antenna non vanno più senza un decoder; sono passate talmente velocemente che nessuno se ne è accorto tecnologie che al loro apparire venivano annunciate come il “futuro”: videodischi laser analogici; musicassette digitali; mini disc, cassette professionali audio DAT... e che altro?
Di tutti i media che negli ultimi decenni abbiamo usato, uno solo è rimasto: il libro!

Vero è che, dopo decenni di tentativi maldestri, formati improbabili e scomodi che, dopo i primi approcci entusiasti, ci facevano abbandonare l'idea di leggere per esempio i “capolavori della letteratura straniera” o la “poesia del mondo” in CD ROM, gli attuali ebook sono per il libro di carta un concorrente serio e agguerrito (finalmente!) Ma la ragione per cui, pur perdendo il ruolo quasi esclusivo che ha avuto per diversi secoli, il libro di carta non scomparirà mai, è molto semplice, ed è tecnica, il suo sistema operativo: il libro è l'unico medium che si interfaccia direttamente agli umani, senza elettricità, senza “lettori”, senza il pericolo che domani qualcuno (qualcun altro, non noi!) ci cambi le carte in tavola, e succeda come per quel software multimediale che io userei ancora perché così non ne fanno più, ma non gira su Windows a 64 bit, o come sta accadendo – mi dicono – a quelli che hanno aggiornato il Mac al sistema X Yosemite, e che si ritrovano con metà dei programmi che non vanno più!






E a certi cantori odierni del digitale senza se e senza ma, vorrei chiedere di riflettere se possa essere davvero considerata una “rivoluzione” un mondo di utenti che leggono i libri e i giornali e guardano i video su un tablet, del tutto ignari che con la tecnologia di oggi tutti noi potremmo scrivere e pubblicare i libri e i giornali, e fare la televisione, a ottimi livelli.
Il problema è che si continua in modo acritico (e a questo punto direi perfino sospetto) a fare confusione tra “tecnologia” e marketing, e che il trend industriale oligopolistico degli ultimi anni sta scavando un solco incolmabile tra una élite sempre più piccola di produttori e la gran massa dei consumatori, a cui si propinano aggeggi usa e getta che non richiedono più nessun tipo di competenza per essere “usati” (a un centesimo delle loro possibilità, ma questo è un dettaglio!) Esattamente il contrario di quello che negli anni Ottanta e Novanta sembrava prospettare la rivoluzione digitale!
E il mio personale pensiero è che in un mondo in cui il consumatore tipo di aggeggi digitali è di fatto sempre più analfabeta, la contrapposizione tra i libri di carta e gli ebook sia tutto sommato un problema secondario!

venerdì 25 settembre 2015

Se sono io che sbaglio, qualcuno mi dica dove! Parte prima



Nei decenni passati, quando vedevo per esempio gli insegnanti della scuola dell’infanzia affannarsi in inutilissimi corsi di aggiornamento di “computer” basati quasi interamente sul Microsoft Office (in effetti, è evidente a chiunque come per un bambino di 5 anni Excel sia una competenza “di base”, mentre il disegno e il video, anche oggi con la “NuovaECDL”, sono degli optional!) una cosa che dicevo loro era che c’è una sola vera competenza di base necessaria per usare in modo attivo gli aggeggi digitali: sapere dove mettiamo i nostri archivi e poi saperli ritrovare!

Cioè, se invece di lasciare che ogni mio testo venga salvato “automaticamente” nella cartella di Word, mi faccio io delle belle cartelline per esempio una per la sezione dei Puffi, l’altra per gli Scoiattoli, l’altra per le Farfalle della mia scuola, lì dentro poi vado a mettere, con un ordine mentale e operativo, per es. i testi con i testi, i disegni con i disegni, le voci con le voci.
Non solo. Dato che le esigenze a seconda dei casi possono essere diverse, posso anche raggruppare i dati per progetto, invece che per sezione, per esempio facendo in modo di ritrovare in una sola cartella tutti i dati che riguardano i lavoretti per il Natale. E, siccome non ha molto senso ricopiare materialmente ogni volta gli stessi dati, imparo a questo punto a usare i collegamenti.
Alla fine (più complicato a dirsi che a farsi), mi ritrovo con un “armadio” ben ordinato in cui, con un po’ di pratica, le cose stanno in un loro posto preciso, ma possono essere raggruppate e ritrovate anche da punti di vista diversi, potenzialmente infiniti, a seconda di quello che mi serve, senza che questo mi scombini l’ordine di base.

Su questi dati ben ordinati poi, posso agire con i diversi software, per variamente elaborarli e, a seconda sempre di quello che mi serve (non di quello che altri mi vogliono fare imparare, perché lo hanno deciso loro, o perché è di moda!), imparo a impaginare i testi, correggere le fotografie, montare le voci e i video, assemblare comunicazioni multimediali, ecc. Comincio con cose semplici e, producendo anche piccole cose nella mia attività con i bambini, ogni giorno divento un po’ più bravo.
Gli stessi dati poi, che stanno ben ordinati nelle mie cartelle, se voglio, li posso poi copiare altrove e condividere con altri in vario modo: chiavette USB, dischi ottici come CD e DVD, email, siti web, spazi in rete in quello che oggi si chiama “cloud”.

Questa – se ci liberiamo da quell’approccio miope e corporativo con cui le varie caste professionali ed economiche di fatto fanno di tutto per impedire che i mezzi digitali cambino davvero il mondo – non ci vuol molto a capire che dovrebbe essere la formazione di base non solo per un insegnante, ma per qualsiasi cittadino della società dell’informazione digitale. E chiunque non abbia questo tipo di competenza, non solo è meno capace di altri (il che non sarebbe un gran problema, tutti abbiamo sempre tanto da imparare!), ma soprattutto è meno libero. Frastornato dal vivere in mezzo a un’orgia continua di dati che non ha idea di come iniziare a maneggiare, finisce col delegare completamente a qualcun altro la gestione, in pratica, di parti importanti della propria vita.

L’altro giorno, avevo scaricato un’immagine da una email sul mio tablet Android e, giuro, non sono riuscito più a trovarla. O meglio, il sistema a un certo punto me la faceva anche vedere, ma non mi lasciava capire in quale cartella in effetti era e mi impediva così, quell’immagine, di prenderla per farne qualcos’altro da quello che il sistema stesso aveva previsto che facessi.
Mi sono sentito, improvvisamente, meno libero!

Continua

disegni realizzati dai bambini di seconda della scuola primaria Arici, Brescia, anno scolastico 2001-2002, utilizzando il programma Flying Colors.

martedì 25 agosto 2015

Generazione iStupid: Il Nulla e le Mappe

Proseguo con la ripubblicazione di articoli già messi on line a suo tempo in myblog. Questo è del 3 ottobre 2014

Da tempo, di fronte a un conformismo 2.0 imperante e a mio parere estremamente nocivo, sento il bisogno di sostenere che, dal punto di vista del rapporto tecnologia umani, dopo gli anni della partecipazione e condivisione che, verso la fine del secolo scorso, hanno reso possibile la rivoluzione digitale, siamo ormai in piena, galoppante regressione. A potenzialità teoricamente enormi e illimitate (per chi già le conosce!), corrisponde sempre più una offerta effimera e quasi esclusivamente commerciale che non solo non allarga, ma restringe di fatto l’utilizzo che la maggioranza delle persone fanno di hardware e software. L’utente medio, attirato in ambienti protetti in cui altri pensano a tutto per lui, è declassato a passivo consumatore, e “sceglie” gli aggeggi per la loro bellezza, per l’immagine, per caratteristiche che spesso non hanno niente a che vedere con la loro efficacia e funzionalità.
Fino all’assurdo di computer da tavolo senza lettore di dischi ottici, che però hanno lo schermo sottilissimo (sarebbe come prendere una poltrona perché è aerodinamica!), e telefonini xxl che si piegano nelle tasche! E il cloud, invece di essere quel posto in cui,  se serve, se si vuole, si possono condividere archivi  e lavoro, sta diventando una specie di discarica virtuale planetaria, in cui la gente butta di tutto e di più ed è spinta a fare macchinosi, lenti e inutili (e a un certo punto costosi) backup di ogni pinzillacchera digitale che per sbaglio produce (con grande soddisfazione dei gestori di reti e anche dei pirati informatici, che nella nuvola ci sguazzano!)
Tra le cose in controtendenza, che non c’erano al tempo di noi nostalgici dei floppy disk da 5,25" (qui scherzo, mai usati: vedevo studenti sul treno che si scambiavano quei cosi molli e sorridevo, io che usavo da sempre quelli da 3”½!) e che vanno nella direzione dello sviluppo e non dell’atrofia dell’intelligenza degli umani, ci sono i software per le mappe concettuali: tanti, belli, a volte costosi, ma anche alcuni assolutamente gratis, o che si offrono a chi non ha necessità eccessive in una versione limitata e gratuita.
Rendere visivamente il pensiero, gli argomenti, le cose da fare, le relazioni tra il tutto… Per gli umani del 21° secolo, cresciuti nella cultura visiva (anche se molti ancora credono in buona fede di essere venuti su con i libri!), le mappe sono il pensiero che si chiarisce alla mente nel momento in cui si mostra, si fa immagine. E allora è possibile capire meglio, approfondire, o anche solo istintivamente “vedere” oltre certi punti d’ombra che si formano nelle elucubrazioni astratte, o anche nella scrittura verbale.
A parte le esportazioni grafiche d’effetto che, giustamente orientate alle presentazioni, espongono al rischio di cadere nel vacuo (20 anni di overdose da Power Point insegnano!), le mappe, per farle, l’umano ci deve pensare! E ogni software “pensa” in un modo un poco diverso, propone un suo approccio particolare, un differente punto di vista, in modo che, costi a parte, la scelta facilmente si potrà orientare sul programma che più sembra adatto e piace al singolo o al gruppo che lo deve utilizzare.
Resta il problema annoso di tutti quegli utenti che sono cresciuti con il software che passava il convento e che non sono abituati a provare, confrontare, scegliere. Ma, almeno da questo punto di vista, la consuetudine con smartphone e tablet – se non altro per il costo molto basso delle applicazioni e perché la loro memoria comunque non infinita sollecita ogni tanto a togliere cose per far posto ad altre – dovrebbe favorire un approccio meno ossequioso e più consapevole.
 pubbligato in myblog 3 ottobre 2014