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giovedì 9 luglio 2015

Il futuro che abbiamo perso? Il software autore 2

…  continua


Riprendo qui la seconda parte di questo discorso, che già era stato pubblicato per la prima volta in My Blog il 22 settembre 2012

Nei primi Novanta, lo stato dell’arte della multimedialità era Scala, su piattaforma Amiga. Costava caro e aveva bisogno appunto di un Amiga (o di una console CD32) per riprodurre i prodotti realizzati, con l’aggiunta di un dongle (chiave hardware). Pare che IBM nelle fiere, esponendo al pubblico i suoi PC compatibili, usasse degli Amiga nascosti che facevano girare le relative presentazioni realizzate con Scala! Ma Amiga era un sistema proprietario di Commodore, che nel 1994 dichiarò fallimento.
Io, non potendo permettermi Scala, presi un bel programmino realizzato in Svezia, Image Vision. La cosa interessante era che vendevano anche un “convertitore” per MS-dos, in modo che i prodotti realizzati avrebbero potuto girare tranquillamente sui PC. Ci fu uno scambio di lettere (cartacee, la vecchia snail-mail!) con i realizzatori, perché quel programma di conversione costava molto di più del software autore stesso, e io non potevo permettermelo. Credo che – non solo in riferimento a me – persero una ghiotta occasione!
Questa storia tradotta in video comunque, Il drago secolare, fu realizzata proprio con Image Vision, nei tempi brevissimi di un centro estivo, nel 1996,  assemblando sfondi, anim-brushes, ambienti 3d presi da collezioni su CD ROM, e realizzando veloci animazioni con Brilliance.


Finì Amiga, i pc (dieci anni dopo!) diventarono adulti e multitasking con Windows ’95. Mentre i vecchi CD ROM di Scala MM400 e di DeLuxe Paint 5 per Amiga ormai te li tiravano dietro, Scala stesso emigrava su PC (MM100, MM200), sempre facile e mitico (addirittura anche in italiano!), più accessibile, meno protetto, e usabile praticamente – parlo per esperienza diretta – dai bambini di quarta elementare da soli, dopo un quarto d’ora di presentazione. Nella nascente rete, insegnanti si scambiavano consigli sui comandi e i trucchi di Toolbook, da cui derivò anche un programma esplicitamente per bambini, Amico, carino ma, almeno nei miei ricordi img312.jpgdi allora, alquanto rigido. Tutto italiano e per le scuole nacque Incomedia, mentre attraverso le demo delle riviste si diffondeva un altro programma dalle ampie potenzialità, Illuminatus. Se i professionisti intanto migravano in massa verso il nuovo principe dei software autore, difficile ma potentissimo: Macromedia Director, altri programmi si affollavano attorno a quella che, personalmente, considero il momento più alto della possibile alfabetizzazione informatica di massa. Dopo – nonostante l’esplosione del web e il proliferare delle pagine personali e dei blog multimediali – è stata complessivamente regressione, dato che l’utente “normale”, pur avendola intravista, sembra aver rinunciato alla possibilità di fare davvero con i mezzi digitali. Oggi compra apps sempre più specifiche, che girano su dispositivi meno impegnativi dei computer, prodotti che spesso svolgono ognuno funzioni che, tutte insieme, non sarebbe difficile ritrovare in un unico software per es. di grafica. Scomposte, divise, consumate come “giochini” a sé stanti, queste funzioni allontano l’orizzonte di altre combinazioni possibili, la curiosità, l’apprendimento, l’invenzione.
La mia idea – e qui sarebbe davvero una bella cosa raccogliere intorno a questo piccolo blog una serie di pareri – è che tutto derivi da una impostazione errata dell’approccio allo strumento computer. E’ risultato più comodo, culturalmente e commercialmente, insegnare programmi e procedure per fare cose già stabilite. Ma il personal computer, per sua natura – a parte ovviamente gli specifici ambiti lavorativi – non serve per fare cose cose stabilite e non si insegna. Essenzialmente si scopre, si auto apprende, capendo man mano per quali attività della nostra vita può servire. E in base alle nostre esigenze, gusti, competenze, risorse, il software prima si cerca e poi si sceglie! Tutto un altro discorso dal sapere trasmissivo e televisivo a cui siamo abituati.





martedì 9 giugno 2015

Il futuro che abbiamo perso? Il software autore 1


Avevo pubblicato questo articolo sulla piattaforma  My Blog, in data 11 settembre 2012 e qui, nel recuperare quel blog estinto, ripropongo tale e quale.


Se la società in cui viviamo non fosse così profondamente vetero-industriale, televisiva e consumistica, forse non i più giovani, ma chiunque abbia vissuto con un minimo di consapevolezza culturale gli anni Ottanta e Novanta, avrebbe chiaro come i computer e la tecnologia in generale (vita sociale in internet a parte, che non è poco) nella sostanza non abbiano cambiato la nostra vita. Continuiamo a fare, magari in un altro modo, le stesse cose di prima, e la maggior parte di noi non ha imparato niente di veramente nuovo. Anche le giovani generazioni non hanno complessivamente idea delle possibilità immense offerte dagli aggeggi digitali che pure maneggiano con apparente disinvoltura tutti i giorni.
Vale la pena forse allora di richiamare alla memoria una piccola storia, che personalmente ho vissuto non da solo, ma anche con i bambini nelle scuole primarie e dell’infanzia, che indicavano chiaramente un futuro possibile entusiasmante e diverso, dal punto di vista della produzione di contenuti in un modo radicalmente nuovo, a cui per il momento abbiamo chiuso quasi completamente le porte.

img305.jpgDunque, i personal e “home” computer dei primi Ottanta avevano già tutte le loro applicazioni per l’ufficio, la scrittura, il disegno, la musica, ma anche venivano fornite le istruzioni su come “programmarli”. E l’idea corrente (assolutamente miope e ingenua già allora, non è che ci volesse una gran lungimiranza!) era che nel “futuro” sarebbe stato “necessario” saper programmare.
Con il primo piano per l’informatica per la scuola italiana (1985) un’intera generazione di insegnanti fu “bruciata” con inutilissimi corsi di BASIC e di MS-Dos. Quando sarebbe bastato guardare fuori dalla finestra per capire che quel periodo pioneristico stava finendo: sul mercato era già uscito il Macintosh, che si comandava con un dito!
Futuro a parte, provare a programmare poteva essere bello e interessante, perché anche l’umano che fino al giorno prima si era ritenuto un irrecuperabile umanista, scopriva la possibilità di far fare alla macchina quello che lui voleva!
Print 2 + 2
e la macchina sullo schermo scriveva “4”. Magico!
A parte gli scherzi, provare a scrivere programmini in BASIC era eccitante, e però rendeva anche l’idea di quanto grande fosse il divario tra il software dei nostri “listati” amatoriali, per quanto a volte belli e carini, e i programmi veri, quelli che le software houses vendevano a caro prezzo per la produttività, o i videogiochi. Per scrivere del software efficiente e veloce, che si presentasse bene, dal punto di vista grafico e funzionale, ci volevano competenze del tutto speciali, e saper usare linguaggi di programmazione di “basso livello”, il linguaggio macchina, l’assembly o l’allora emergente “C”, certo più umano ma ugualmente non per tutti!
L’idea di poter mettere assieme testi, suoni, grafica, video, in un insieme unico e d’aspetto “competitivo” con i prodotti professionali, e in grado di funzionare attraverso la definizione di calcoli e procedure, senza saper scrivere una riga di programma, arriva all’inizio degli anni Novanta e potrebbe essere una rivoluzione: come tutti sappiamo scrivere la lingua degli umani, senza necessariamente diventare scrittori, così tutti potremo imparare a “scrivere” cose semplici ma dignitose per il computer, senza bisogno di diventare “programmatori”, solo organizzando i contenuti multimediali con il mouse. E sarebbe un altro livello di “alfabetizzazione”!
Del software autore (termine di cui nel frattempo – e non è un bel segno – si è quasi persa anche la definizione) credo si possa dire che nacque ufficialmente nel 1990.
amiga_vision.jpgGià esisteva da alcuni anni un programma con cui chiunque poteva cimentarsi nella produzione di “ipertesti”: Hypercard, disponibile gratuitamente su Macintosh. E sempre nel ’90 uscì anche il primo Toolbook per sistemi Microsoft. Rappresentavano una interessante evoluzione grafica e interattiva dei tradizionali data base. Ma la svolta “ufficiale” avvenne con Amiga Vision, lanciato con la prima  macchina dichiaratamente multimediale della storia, l’Amiga 3000, un computer di fascia alta che trovò una certa diffusione soprattutto negli studi televisivi. Amiga è stato finora probabilmente – a mio parere, ma anche di chiunque l’abbia conosciuto non solo per giocare – nonostante la politica industriale dissennata e il marketing  suicida della Commodore, il miglior sistema operativo di larga diffusione per personal computer, uscito nel 1985 già con caratteristiche 10 anni avanti sulla concorrenza!
Nostalgie” a parte, nel seguito di questo articolo entrerò nel concreto delle mie esperienze multimediali, da dilettante quale essenzialmente sono, nelle mie collaborazioni con i professionisti e soprattutto con i bambini. Credo che ne valga la pena, perché è importante recuperare dal passato quei pezzi di storia che ci possono essere utili per organizzare meglio anche il nostro futuro.