Avevo pubblicato questo articolo sulla piattaforma My Blog, in data 11 settembre 2012 e qui, nel recuperare quel blog estinto, ripropongo tale e quale.
Se la società in cui viviamo non fosse così profondamente vetero-industriale, televisiva e consumistica, forse non i più giovani, ma chiunque abbia vissuto con un minimo di consapevolezza culturale gli anni Ottanta e Novanta, avrebbe chiaro come i computer e la tecnologia in generale (vita sociale in internet a parte, che non è poco) nella sostanza non abbiano cambiato la nostra vita. Continuiamo a fare, magari in un altro modo, le stesse cose di prima, e la maggior parte di noi non ha imparato niente di veramente nuovo. Anche le giovani generazioni non hanno complessivamente idea delle possibilità immense offerte dagli aggeggi digitali che pure maneggiano con apparente disinvoltura tutti i giorni.
Vale la pena forse allora di richiamare alla memoria una piccola storia, che personalmente ho vissuto non da solo, ma anche con i bambini nelle scuole primarie e dell’infanzia, che indicavano chiaramente un futuro possibile entusiasmante e diverso, dal punto di vista della produzione di contenuti in un modo radicalmente nuovo, a cui per il momento abbiamo chiuso quasi completamente le porte.
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Con il primo piano per l’informatica per la scuola italiana (1985) un’intera generazione di insegnanti fu “bruciata” con inutilissimi corsi di BASIC e di MS-Dos. Quando sarebbe bastato guardare fuori dalla finestra per capire che quel periodo pioneristico stava finendo: sul mercato era già uscito il Macintosh, che si comandava con un dito!
Futuro a parte, provare a programmare poteva essere bello e interessante, perché anche l’umano che fino al giorno prima si era ritenuto un irrecuperabile umanista, scopriva la possibilità di far fare alla macchina quello che lui voleva!
Print 2 + 2
e la macchina sullo schermo scriveva “4”. Magico!
A parte gli scherzi, provare a scrivere programmini in BASIC era eccitante, e però rendeva anche l’idea di quanto grande fosse il divario tra il software dei nostri “listati” amatoriali, per quanto a volte belli e carini, e i programmi veri, quelli che le software houses vendevano a caro prezzo per la produttività, o i videogiochi. Per scrivere del software efficiente e veloce, che si presentasse bene, dal punto di vista grafico e funzionale, ci volevano competenze del tutto speciali, e saper usare linguaggi di programmazione di “basso livello”, il linguaggio macchina, l’assembly o l’allora emergente “C”, certo più umano ma ugualmente non per tutti!
L’idea di poter mettere assieme testi, suoni, grafica, video, in un insieme unico e d’aspetto “competitivo” con i prodotti professionali, e in grado di funzionare attraverso la definizione di calcoli e procedure, senza saper scrivere una riga di programma, arriva all’inizio degli anni Novanta e potrebbe essere una rivoluzione: come tutti sappiamo scrivere la lingua degli umani, senza necessariamente diventare scrittori, così tutti potremo imparare a “scrivere” cose semplici ma dignitose per il computer, senza bisogno di diventare “programmatori”, solo organizzando i contenuti multimediali con il mouse. E sarebbe un altro livello di “alfabetizzazione”!
Del software autore (termine di cui nel frattempo – e non è un bel segno – si è quasi persa anche la definizione) credo si possa dire che nacque ufficialmente nel 1990.
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“Nostalgie” a parte, nel seguito di questo articolo entrerò nel concreto delle mie esperienze multimediali, da dilettante quale essenzialmente sono, nelle mie collaborazioni con i professionisti e soprattutto con i bambini. Credo che ne valga la pena, perché è importante recuperare dal passato quei pezzi di storia che ci possono essere utili per organizzare meglio anche il nostro futuro.
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