domenica 11 luglio 2021

Volevo vivere e l’ho scritto su Facebook

Pubblico di questi tempi su YouTube – effetto collaterale della pandemia? - videoclip di canzoni fatte in casa, e poi in questo blog racconto come ho fatto. Perché, a parte ogni altra considerazione sulla mia personale imperizia vocale e strumentale (questo in italiano si chiama eufemismo!) , una delle cose fino a pochi anni fa impossibili per i comuni mortali e che oggi si possono fare è proprio per esempio registrarsi e diffondersi da soli videoclip, con voce, musica, missaggio, riprese video, montaggio e pubblicazione in rete, utilizzando mezzi anche assolutamente amatoriali ma che, se uno ci sa un po’ fare e si applica, consentono risultati di tutto rispetto.

Questo fatto che tutti siamo diventati produttori di informazionenon solo di “spiegoni” e “tutorial” con il telefonino, ma anche cose un po’ più elaborate, che possono fare concorrenza ai media “con i mezzi” - è una cosa di cui pochi sono veramente consapevoli. Per ottenere risultati davvero notevoli dovremmo però imparare a lavorare insieme, elaborare collettivamente “software” per ottimizzare le interazioni produttive anche occasionali tra umani. Ma questo è un altro discorso.

Volevo vivere e l’ho scritto su Facebook è un’idea ovviamente abbastanza ironica, pensando a quelli che non solo usano i social network, ma che e ci passano un sacco di tempo e sembra che abbiano progressivamente trasferito lì gran parte delle loro relazioni con gli altri umani, espressioni, affetti, perfino l’impegno sociale e politico. E anche questo è un problema del nostro tempo! Poi, ovviamente, sui social network ci sto anch’io e li uso anche per far conoscere le mie canzoni e questi articoli. Non è questione di cercare o additare in altri contraddizioni o coerenza, ma semplicemente di misura.

A differenza delle altre due canzoni precedenti che erano nate strimpellando uno strumento – Social Pandemia la tastiera e La Televisione basta! la chitarra, questa volta l’idea si è sviluppata con quella frase che mi rimbalzava nella testa e cercava un ritmo, una melodia. Sono andato a cercare un tempo di batteria sulla tastiera e ho deciso che l’avrei usato. In passato, tanti anni fa, avevo fatto qualche prova con i sequencer al computer e perfino con il MIDI, ma ultimamente, anche nel mio revival musicale senile, finora avevo sempre cercato di suonare gli strumenti. Poi, nelle due canzoni in cui è intervenuto il mio amico Piero Giambruno, oltre che la sua bravura di musicista, lui qualche aiuto elettronico ce l’ha messo. Per me invece diciamo che è la prima volta che inserisco in questa ultima serie di pezzi musicali suoni generati da una macchina.

Su quel tempo di batteria, ho messo tre accordi con la chitarra pizzicata, fatto prove di registrazione con il telefonino e mi è sembrato che venisse bene, piacevole all’ascolto. Poi, dopo aver composto testo e musica (ovviamente a orecchio!) e aver definito le strofe, sono andato a registrare direttamente nelle memorie della tastiera la base di batteria, inserendo tra le diverse frasi musicali i passaggi che la tastiera stessa mi consente (quando ogni tanto nel video si vede un dito che schiaccia un tasto, è quello che sto facendo). Con la batteria pronta in cuffia, ho quindi registratore la chitarra con il portatile Tascam che si vede pure nel video e sono andato su un programma di montaggio sonoro a sovrapporre manualmente le due tracce. So che non è il modo migliore di fare, ma questa volta ho voluto provare così, anche perché tra il software (versione gratuita di Studio One) e la nuova scheda audio esterna Behringer U-Phoria UMC22 avevo qualche problema (cioè, non è che loro non vanno, sono io che li usavo per la prima volta) a entrare direttamente con strumenti e voce. Anche la voce è registrata con il Tascam, in questo caso però con l’aggiunta aggiunta di un microfono esterno.

Durante la registrazione di chitarra e voce, mi sono auto ripreso con due videocamere fisse, in modo da poter sincronizzare suono e video nel miglior modo possibile. Lo stesso quando ho suonato l’organo di accompagnamento e quello introduttivo e finale, che ha chiamato Piero a una conclusione rock in cui riprende le mie quattro timide note e ne fa musica vera! In realtà lui nel file mixato che mi aveva mandato aveva tolto l'organo e partiva direttamente con la chitarra e io invece ce l'ho rimesso: piccoli miracoli possibili oggi a chiunque con il copia incolla e la sovrapposizione delle tracce grafiche del sonoro, con software anche gratuiti, dove ieri occorrevano apparecchiature sofisticate e costose negli studi di registrazione.

Video in sincrono mentre canto e suono (manualmente, facendo coincidere i grafici delle onde sonore al fotogramma, utile per acquisire disinvoltura nel montaggio!), e poi qualche immagine di Piero “a senso” (cioè, in realtà lui sta suonando altro) e di me che litigo o mi diverto con il software audio e video.

 

Come “storia” dentro il videoclip, dato che proprio mentre lavoravo alla canzone si era fermato un gregge di pecore vicino a casa e mi ci ero ritrovato in mezzo a filmare con videocamera e telefonino, ho pensato che fossero immagini che si sarebbero incontrate bene con l’argomento!

Ultima nota, direi importante. Per la prima volta, ho montato un intero video usando il software Da Vinci Resolve, in versione gratuita. Non è facilissimo “dominarlo” (è un programma di montaggio e post produzione che fa quasi tutto, si usa a Hollywood e qualche cosa che alla gente comune non serve certo ce l’ha, il manuale completo sono 3000 pagine in inglese!), ma è davvero un altro mondo, un mondo vero, rispetto a quelle cose patetiche, automatiche, autoritarie e alla fine frustranti con cui – per “facilitare” la vita – i cittadini della società dell’informazione sono quotidianamente sollecitati a permanere nel loro analfabetismo digitale e tecnologico, tanto ci sono le “app” che decidono e fanno per loro! Se è vero ovviamente che non tutti dobbiamo diventare Steven Spielber, il linguaggio audiovisivo è il principale alfabeto attraverso cui si comunica nel pianeta e sottovalutare l’importanza di un suo uso attivo e consapevole da parte di tutti - così come altre pratiche diffuse e dissennate di interpretazione della “tecnologia” tra la burocrazia inappellabile e il puro consumo - espone le nostre democrazie a rischi di non partecipazione e involuzione autoritaria, di cui tutti ormai vediamo qualcosa di più che pericolose avvisaglie.

Per introdurre a Da Vinci, all’inizio di quel ponderoso manuale c’è un “getting started” che in poche pagine, a mio parere, spalanca panorami su un un mondo, e vale la pena di percorrerlo con attenzione. Ci aiuta a capire che è possibile (e bello) vivere non soltanto su Fabebook!

giovedì 8 aprile 2021

La televisione, basta!

È il titolo della seconda canzone che scrivo e pubblico in questi tempi difficili, dopo Social Pandemia. E qualcuno potrebbe annotare questa mia attività musicale tra gli effetti collaterali del periodo, in cui attorno all’emergenza sanitaria sono successe tante cose, belle e meno belle, e si sono svelati lati sconosciuti di persone che conoscevamo in un certo modo, con cui i rapporti si sono approfonditi o viceversa hanno incontrato punti di rottura pesanti e inaspettati.

Primo “urlo”, prima strofa della canzone: la televisione, basta!

Non si può passare le giornate a guardare in TV personaggi che continuamente si parlano addosso, a volte senza ascoltare che cosa dicono, di virus, morti, contagi, paura. Chiaro che poi, oltre al dolore per le persone che a causa di questo male se ne sono andate davvero (a molti sono mancati parenti, amici, a me sono mancati), oltre alle precauzioni che da un anno dobbiamo prendere uscendo di casa (mascherine, distanziamento, lavaggio e disinfezione delle mani) con quel ritornello nelle orecchie rischia di crescere un’angoscia devastante.

Ma anche è insopportabile, ancora di più, di fronte alle difficoltà, gli errori, le incertezze e i timori, trovare in rete quei personaggi saccenti, arroganti, innamorati delle proprie convinzioni oltre i confini di ciò che è umano, che gridano in faccia agli altri che non è vero niente, che siamo tutti dei pecoroni, e danno lezioni al mondo dal loro pulpito di vuoto narcisismo. E intuisci cosa può succedere quando il pensiero, la parola, l’affermazione di verità sempre più inconfutabili si ergono assoluti al di sopra delle persone. Capisci il percorso mentale che può portare al nazismo, ai genocidi.

Secondo “urlo”, seconda strofa della canzone: social network, basta!


Dal punto di vista della
composizione, prendo in mano la chitarra e mi esce un accenno di arpeggio su un unico interminabile accordo, a cui si appoggiano i primi lunghi sei versi di ogni strofa, un quasi recitativo tutto sommato adeguato al poco che possono esprimere con la mia voce, quasi rispettoso delle orecchie di eventuali ascoltatori. Cambio, finalmente dal DO al FA, frase interlocutoria che prepara a quella conclusiva, e di nuovo accordo di DO. Una volta per la prima strofa, due per la seconda. Mi piace.

Poi, la musica dovrebbe aprirsi. Viene, semplicissimo ma ci sta e funziona, arpeggiare ora con un po’ più di convinzione su tre accordi che si ripetono, ad libitum, su cui andrà sviluppata una melodia strumentale, possibilmente di chitarra elettrica, mentre l’accompagnamento attorno si rafforza e ingloba l’arpeggio. E poi ci dovrebbe essere la seconda parte della canzone.


Mando questo primo abbozzo, registrato con il telefonino, al mio amico Piero, che è un musicista vero e mi dice: «Questa è bella!» Poi riempie” la prima parte con una base elettronica e mi manda i primi assoli di chitarra solista. Scambi vari di musiche, video e idee, tentativi di inserire la seconda parte della canzone, prove mie di canto (improponibili), recitativo, con la chitarra sullo sfondo, e alla fine ci rinuncio: non ci sarà una seconda parte! Chiedo a Piero di togliere gli “uccellini” che a un certo punto aveva aggiunto al suo assolo, perché ho deciso di rendere per immagini quello che doveva essere il testo della seconda parte e metterò l’airone sul tetto, la folaga che sbadiglia, non voglio gli uccellini! Problema di computer che danno i numeri, tracce che si perdono, assolo rifatto, troppo cupo, troppo alto: abbassa quella chitarra! Alla fine, il risultato è quello che si sente nel videoclip pubblicato.

A parte che la qualità della prima registrazione audio con il telefonino era inopinatamente buona (e per chi negli anni si è procurato, accuratamente selezionandole, attrezzature audio video sofisticate e costose la situazione è alquanto beffarda, e uno un po’ si incazza anche!), c’era la voce troppo bassa rispetto alla chitarra, le incertezze da prima esecuzione, e poi soprattutto mi serviva qualcosa da sincronizzare con il video, che in questo caso ho realizzato con 5 macchine da presa (due videocamere quasi “serie”, una meno seria ma comunque HD, una GoPro e uno smartphone). Ovviamente, quando sei lì che fai tutto da solo, anche se cerchi le soluzioni più semplici, accendere nell’ordine le luci, i dispositivi video, il registratore, qualcosa sempre sbagli, una nota, un’inquadratura, la pronuncia di una parola, e non è che puoi rifare 20 volte. Alla fine, la “s” di “social network” sibila paurosamente e riesco perfino– anche se chi ascolta probabilmente non se ne accorge – a pronunciare la parola “miliardi” con una improbabile erre moscia che mai mi era venuta così in tutta la mia vita!



Per la registrazione audio, visto che ce l’ho, è comodo da montare su un treppiede all’altezza giusta tra voce e chitarra, si può regolare nel volume e tutte quelle cose lì, uso un
registratore digitale compatto che, costando anche meno di un telefonino, garantisce una gestione del sonoro molto più flessibile. Se servisse, potrei combinare il microfono stereo incorporato con due microfoni professionali esterni, sovrapporre e combinare tracce: decisamente un bell’aggeggio!

Per i videoclip uso immagini che ho. Parto dai gattini protagonisti dei social network, i miei e altri filmati in giro, espressivi, per concludere con gatto Nocciolino che gioca con il tablet. Poi uccelli: upupe che zampettano nel giardino sotto casa, lo smergo femmina e l’airone cenerino di scorcio nel loro naturale ambiente palustre. Ma l’airone sta anche in bella posa sulla casa del camino di fronte, un giorno si era posato lì, l’ho filmato, mentre nel finale è a caccia nel laghetto, e anche la folaga immerge il becco e pesca e scarta un rametto nell’acqua… Accostate in un certo modo queste immagini evocano forse qualcosa, oltre la TV e i social network, cioè natura, realtà, vita che ha una sua bellezza e soprattutto un suo senso oltre le trasmissioni video, le connessioni, il nostro volerci sempre mettere in primo piano al centro della scena, in quanto umani o meglio immagini di umani, talmente ansios

i di riempire tutto da perdere significato (perché sono immagini tutto sommato vuote) Ci sono anche insetti che mangiano, cercano in volo tra i fiori, o si svelano per brevi attimi in forme, colori, gesti e movenze affascinanti. E in mezzo gli aerei Canadair filmati un giorno che pescavano l’acqua del lago di Garda per spegnere un incendio sulla montagna vicina. Mi è piaciuto metterli, non so quanto ci stiano tra uccelli e insetti, ma credo di sì, fanno qualcosa di simile..

Quanto siano significative o meno queste immagini, insieme con la musica, è un fatto soggettivo, ma nel montare tutto insieme mi è sembrato che qualcosa riuscissero a trasmetterlo. Lo spiegavo a Piero, mentre lui metteva insieme tutto il missaggio sonoro, che non intendevo la musica da sola, che il video era parte integrante del discorso da trasmettere: “Mandami te che suoni!” e il punto di vista dal centro della chitarra è molto bello, oltre le aspettative. Qualcosa anche di noi, tra lunghi “titoli di coda” esplicativi. Penso a quei videoclip in cui si vede in fondo solo gente che balla e questo è decisamente mio! 😁

Ci vado davvero poco ultimamente
nelle reti sociali (basta!), ma il videoclip sui YouTube, questo articolo qui nel blog, i link per le cerchie di amici. Non da ossessivo compulsivo, spero. Cercando di trovare qualcosa da dire, possibilmente non banale , entro un panorama più aperto, la musica, il mondo naturale, la possibilità chissà di inventare e costruire insieme, un pezzettino per volta, per un mondo più sincero e più vero.