Di
nuovo al blog personale, dopo tanto
Ritorno a usare questo blog,
dopo tanto tempo, perché ci sta, e anche perché chissà forse è un
modo – riprendersi gli spazi, usarli, insistere a cercare la
comunicazione che da qualche parte forse può passare – per
invertire quel “trend” nefasto per cui miliardi di piccoli
comportamenti quotidiani regressivi stanno portando probabilmente
il pianeta alla catastrofe (e lo scrivo da inguaribile, ostinato
ottimista, che però cerca di usare quel poco di intelligenza che
ancora gli rimane, invece di spenderla come si usa oggi a descrivere
le meraviglie di una intelligenza artificiale che comunque
intelligente non è, perché banalmente non ha coscienza di quello
che fa!)
Non
riesco a non citare l’esempio incredibile freschissimo di una donna famosa
che, nell’annunciare al mondo di essere mamma, pubblica una foto in cui nasconde la faccia della bambina!
Ricordo che le leggi sulla riservatezza erano in origine per evitare
che io pubblicassi la foto di tuo figlio senza dirtelo, ma sembra che
oggi io stesso trovi automatico e normale censurare
le foto del mio bambino/a, perché se l’immagine di un neonato
è visibile in rete, chissà cosa gli potrebbe succedere! Ma
siamo pazzi? Siamo una
società che ha paura dei
sorrisi dei bambini (tranne quelli della pubblicità!) e ha eletto il
pensiero morboso a pensiero dominante, così come sponsorizza di
fatto il bullismo nelle scuole, che ormai è la
prima preoccupazione di tanti
bambini nel passaggio
dalla scuola primaria alla secondaria. Cioè,
un problema che avrebbe
una dimensione contenuta, a
forza di “combatterlo”
diventa dominante, centrale nel
pensiero e nella vita delle
persone e delle società. Come quando negli anni 80 l’occidente
organizzò
le prime “missioni di pace“ in Somalia perché c’era il
“pericolo” dell’integralismo islamico. Per quel poco che vale,
in quegli anni poche donne musulmane portavano il velo, le
studentesse afgane giravano
in minigonna, e dopo il
nostro sollecito intervento, nel giro di pochi decenni, sappiamo come
sono andate le cose. Potremmo chiedere all’intelligenza artificiale
di spiegarci perché, per
“difendere” alcuni dei nostri figli da un eventuale pericolo estremamente remoto, stiamo
crescendo una intera
generazione
nella paura. Che,
sappiamo,
è la madre di ogni violenza.
Siamo
noi i responsabili, tutti insieme, del disastro presente
Miliardi
di post e interazioni sulle diverse piattaforme sociali - da utenti
passivi di televisione che credono si tratti sempre e solo di
consumare prodotti altrui, non ce ne rendiamo conto – in realtà
giorno per giorno cambiano il mondo, e non certo per il meglio. Se
non fossimo tutti a contemplare
in modo narcisistico (e
masochista?) la nostra
immagine spavalda o spaventata nello specchio, magari ce ne
renderemmo conto, vedremmo come, per inseguire “tendenze” che si
affermano nei
pollai online frequentati da
una maggioranza di analfabeti, si è nel
tempo degradata anche la comunicazione audiovisiva professionale,
stravolgendo l’idea stessa
di informazione.
E
il bello è che tutti crediamo che le cose le decidano i “giganti
del web”, e che noi non contiamo niente. Come quando Google
(probabilmente il gigante dei giganti, tra il
motore di ricerca quasi in
monopolio, YouTube e l’80% dei telefonini Android)
cercò a un
a un certo punto di farci
lasciare Facebook e
Twitter per
il suo Google +. Chi
se lo
ricorda?
Siamo
noi che decidiamo, non come singoli ovviamente, ma come il più
potente super organismo che si sia mai visto sulla faccia di questa
terra (altro che le api!). Nessuno di noi conta singolarmente (gli
influencer un po’ di
più, ma neanche tanto!), e
però mettendo
insieme miliardi di minchiate interconnesse in tempo reale attraverso
tutto il pianeta, esercitiamo
letteralmente a casaccio il
più grosso potere mai visto
nella storia. E dato che
nemmeno immaginiamo di farlo,
devolviamo di
fatto quel potere a una
politica che il disinteresse di noi cittadini consegna ogni giorno di
più alla finanza e al mercato, e a imperi del web che noi stessi
costruiamo e facciamo grandi con i
nostri clic. Altro che le
psicopatologie di massa degli anni 30 e 40 del secolo scorso! Non so
se la singola ape sappia che fa parte di un super organismo. Ma se
ognuno di noi si rendesse contro del fatto banalissimo che tutte le
volte che “postiamo” un frase o un’immagine produciamo
informazione, il mondo già domani sarebbe un posto migliore!
Le
risposte dei bambini
Oggi,
i
bambini di cui si
“protegge” l’immagine sono
sistematicamente nascosti
alla coscienza sociale, di
loro si raccontano
sciocchezze inimmaginabili a cui credono tutti, come la fanfaluca
dei nativi digitali, e
così li si consegna al
bullismo, al disagio giovanile, al deficit d’attenzione e in
definitiva agli psicologi.
Ma
di fronte a una società che non vuole crescere né progredire,
devastata dalle ideologie novecentesche della velocità e della
competizione, per cui tutti corriamo come matti senza sapere dove
andiamo, i bambini, quando li metti nelle condizioni di giocare
insieme in un contesto diciamo protetto, cioè oltre gli stereotipi
del consumo e delle relazioni sociali difficili, con adulti garanti
delle regole e disposti ad ascoltarli, sono loro che ti insegnano, e
che forse ti possono indicare una possibile via di salvezza, perché
hanno ancora qualcosa che a una certa età spesso si perde: la
voglia, la gioia, la curiosità di vivere.
Lavorare
con loro negli anni 1980 era una fantastica scuola di vita, e lo è
anche oggi oggi, perché i bambini non cambiano. Scriveva Walter
Benjiamin nel 1928: “I bambini stanno in scena e istruiscono e
educano gli attenti educatori!”. E Gesù
Cristo: “Se non diventate come i bambini, non entrerete nel
regno dei cieli”.
Io
ho cercato
di parlare di quello che mi davano bambini, di
scriverlo citando quello che
vedevo e anche le
loro esatte parole, in libri
sull’animazione
teatrale, sui
bambini
e l’ambiente…
Boh? Facevo video che sapevo diversi, li proponevo ai media
educator e anche ai
professionisti, che per lo
più sentenziavano con
la frase standard, sempre uguale: “Belli,
ma non adatti alla TV!” Salvo poi magari
dopo 10 anni dirti:
“Sai, ho rivisto quella cosa, era nuova
e interessante!” Mentre
in Italia nella RAI l’interesse per i bambini a poco a poco svaniva
completamente…
Adesso,
per mettere insieme e pubblicare
qualcosa come un pensiero
un po’ allargato sulla
società presente (non
solo guardare il mondo da un oblò, come sembra
abbiano scelto di fare molti
anche illustri intellettuali nostrani ) e lo spreco pazzesco
di tecnologia, con
l’esortazione però a
darci una mossa, ho dovuto puntare su una una casa editrice
americana, che si rivolge al mercato accademico (ahi, i prezzi!) e
comunque mi ha accettato l’argomento e poi ha sottoposto lo scritto
a una revisione credo non banale. Boh, non so se sia davvero il segno
credibile che non sto delirando per conto mio… comunque il
libro sta uscendo
adesso.
Farsi
il sito web offline
La
ragione per cui pubblico
questo articolo nel blog
“Tools Strumenti” è
perché – dopo anni in cui il
mio indirizzo
web in
realtà dirottava su siti
gratuiti on line, in cui uno
può anche sbizzarrirsi
a partire da
modelli interessanti e d’effetto, ma che
alla fine ti limitano entro
schemi più o meno rigidi e comunque non tuoi, e a cui collegare
un
dominio
costa non poco
- sono tornato finalmente a realizzare il mio sito web con un
software sempre facile e
grafico (non maneggio l’HTML) ma che, mentre
lo usi, impari come si fa! Che è poi
quella cosa per cui negli
anni 80 e 90 del secolo scorso gran parte delle novità
tecnologiche
non arrivano dal mercato
delle grandi aziende (che
fornivano essenzialmente l’hardware),
ma dall’iniziativa
libera e collaborativa
(non sempre volontaria, qualcosa
si rubavano l’un l’altro!
😸) di tanti appassionati che, oltre a scaricare app, dettavano
comunque, con le loro
soluzioni software, anche alla stessa industria
strade verso il futuro non ispirate al Grande Fratello,
a Star Trek, agli
Avengers o ai cartoni
animati dei Pronipoti,
che invece – in mancanza
nei decenni di una alfabetizzazione digitale minima della
massa dei consumatori - sono tornati ad essere il riferimento
culturale degli anni 2020,
così come dei 1960!
Ad ogni modo, per storie mie e anche
per una questione di costi, in passato, dopo tante prove ed
esperimenti, avevo realizzato i mie siti web off line usando il
software Web Plus,
della Serif di Nottingham (of course!). Causa i miei limiti tecnici
come webmaster e come grafico, non avevo fatto grandi cose, ma
cercavo comunque di mettere insieme pagine navigabili, avendo in
mente le cose che volevo comunicare, piuttosto che criteri astratti
da seguire per “fare un sito web”, frase completamente priva di
senso, dato che in un sito web ci può stare ogni espressione
possibile dell’esperienza, comunicazione, azione e pensiero umani,
e quindi solo pensare che esista una regola “generale” da seguire
è una bestialità. Oggi, la maggioranza usa un software online che
sarà anche un cavallo di razza, ma – a parte che pensato
originalmente per i blog magari potrebbe non essere il più adatto
per organizzare, che so, una esposizione universale! - diciamo che è
piuttosto difficile da domare, per cui alla fine moltissimi siti web
si assomigliano in modo imbarazzante.
La prima regola della
comunicazione – che segna il successo o meno degli spot
pubblicitari – è la capacità di distinguersi, in modo che
mentre mi legge o mi guarda, il lettore, osservatore, cliente non
pensi a qualcun altro. E prima che seguire webinar
raffinati sulle regole del SEO,
per catturare i visitatori unici che passano di lì, chi vuole farsi
notare sul web immagino dovrebbe – ditemelo, se sbaglio! - avere
pagine che alla prima occhiata non si confondano con quelle degli
altri.
Dopo di che, gli esperti di
comunicazione on line ti spiegano anche che su una pagina web i
navigatori si fermano, quando va bene, pochi minuti.
Cioè, gli stessi che poi perdono ore sui social network e che
qualcuno crede che un domani si caleranno con entusiasmo negli
ambienti immersivi del metaverso? Ma ci pensiamo al significato di
quello che ci diciamo e scriviamo?
Se sui siti web la gente non si
ferma, significa che così come li stiamo facendo non
funzionano. Punto! E siamo condizionati da una cultura
televisiva passiva, da modelli di consumo fine a se
stesso, che ci impedisce per esempio di capire che lo sviluppo del
Web non è determinato da ciò che vediamo o scarichiamo, ma da ciò,
globalmente, che ci mettiamo. Ma forse è un ragionamento difficile
per per chi dà per scontato che il potere della rete
debba ridursi a supermercato, intrattenimento, o concentrato di
burocrazia! E poi ci meravigliamo perché facciamo le guerre!
A
un certo punto a Nottingham comunque
hanno
smesso
di sviluppare quel software,
e
poi
il web
builder non
è stato più
incluso nella nuova serie di
applicazioni. Non potendo
continuare a lavorare sul programma vecchio che ancora basava le
gallerie su Flash
ho cercato parecchio se c’era qualche applicazione on line
versatile, e
che
non obbligasse ad abbonamenti costosi. Né
l’uno nell’altro! Per cui
torno
a scegliere l’offline,
soluzione
che non è più complicata
e alla fine ti restituisce anche
il controllo su quello che fai. Provate
cose
forse ottime ma con cui davvero non c’era
intesa,
alla fine ho scelto
WYSIWYG
Web Builder, il
cui aggiornamento di questi
giorni mi propone ora di
passare alla nuova versione integrata con l’intelligenza
artificiale.
Quello
che mi
interessa è potere, all’occorrenza, agire su ogni elemento, i
testi, le immagini, la navigazione (non
come quando si ti dicono, saccenti: si può fare tutto,
ma questa immagine più piccola no, quell’altra spostarla,
nemmeno!). Anche se in questo
caso, partito comunque da un “template” modificato, mi accorgo,
nel riguardare, che il menu laterale a comparsa sulla destra, su uno
schermo piccolo non scorre. Vado a vedere, provo altri parametri. Ora va bene, mi piace!
Come con un’automobile, un vestito, uno strumento musicale, credo che un software vada scelto non perché lo usano tutti, ma perché si incontra con il nostro gusto e ci permette di realizzare le nostre intenzioni. E anche che, dopo tanta navigazione in rete, tutti noi dovremmo possedere almeno quella base di cultura latente su come funziona un sito web che, se anche non abbiamo il tempo di imparare a farci le pagine da soli, possiamo con un web master avere un rapporto di collaborazione, in modo da non delegare sempre a qualcun altro non solo la parte tecnica, ma anche la gestione delle nostri intenzioni e, in questa come in altre cose, sempre adeguarci.
Poi
certi mostri in rete li
vediamo tutti, ma qui si entra in un altro discorso…