venerdì 18 settembre 2020

Il Self publishing e Il Pampiro

Nota 1. Ho pubblicato un racconto on line

Nei giorni scorsi, sul mio profilo Facebook, avevo scritto che, avendo un account ISSUU inutilizzato da anni, ho finalmente deciso di provare a usarlo e quindi invitavo i miei contatti alla lettura di un mio racconto, anche quello recuperato dagli scaffali del tempo: il Pampiro.

Siccome il mio account è di base e non consente di scaricare, ho anche aggiunto che, se qualcuno lo desiderava, dato che il racconto è distribuito sotto licenza Creative Commons, lo posso tranquillamente mandare gratis in formato PDF a chiunque me lo chieda. Non ho ancora francamente capito perché a volte vai su ISSUU (da anonimo, ovviamente, non dopo aver fatto il log in) e puoi leggere tranquillamente quello che c'è, e altre volte invece ti chiedono di registrarti, mentre alcuni miei corrispondenti segnalano problemi a seconda dai browser. Se qualcuno sa qualcosa di illuminante al proposito...


Nota 2. S
orpresa, lamentazione, abbozzo di riflessione.

Ringrazio di cuore quei pochi amici che hanno commentato, fatto domande, segnalato problemi. Ma quello che mi ha sorpreso è il numero decisamente basso (anche se molto lentamente, a uno a uno, altri si aggiungono) di interazioni e di "mi piace". Stavo incominciando anche a condividere in gruppi, ma visto l'andazzo mi sono fermato. Nessuno finora mi ha chiesto il pfd. Un flop totale?

Può essere che sia un caso, o anche che il racconto sia talmente brutto che i più preferiscono osservare un pietoso silenzio. Ma non credo. E provo ad azzardare qualche ipotesi.

Dunque. Sui "social" vanno forte le notizie a vanvera su pandemia e dintorni, gli insulti alla politica, le pubblicità gratuite ai padroni del web in pagine dove la regola sarebbe parlare solo di cose "gratis"; vanno le assurdità tipo "vediamo se leggete questo post fino in fondo", che faccia avresti se fossi un armadillo, sei un genio se per individuare il punto di domanda in una figura composta tutta di punti interrogativi ci impieghi meno di un quarto d'ora!

Vanno poco le esortazioni a prendersi ognuno le proprie responsabilità, di più certe frasi molto intellettuali di intellettuali che si rispondono e commentano solo fra gli intellettuali loro amici, e ovviamente le foto di gattini.

Risulta forse difficile, o fastidioso concepire un mondo in cui non soltanto si commentano le azioni e i pensieri altrui, ma si agisce in prima persona, come magari la tecnologia di oggi ci consentirebbe di fare (ma nessuno ce lo dice! E anzi, se ce lo dicono facciamo volentieri finta di non sentire!)

E così - discorso generale, di tendenza, che non riguarda necessariamente, per fortuna, ognuno di noi - succede che narcisisti, arroganti, intolleranti, permalosi, logorroici - stendiamo un velo pietoso sulle miserie umane venute a galla tutte insieme nel tempo della pandemia!- celebriamo l'atrofia della comunicazione reale tra gli umani, raccontandoci che finalmente cambierà tutto quando potremo condividere il nulla con la banda ultra larga e il 5G!

Nota 3: tecnologia e cambiamento, e leggete il mio racconto!

Npn è male ricordarlo: la novità portata dalla tecnologia non è che oggi possiamo leggere il giornale e guardare la televisione on line, ma che oggi la televisione e i giornali li possiamo fare noi! Ovviamente, non se perseveriamo nelle abitudini di consumo passivo, naturale per generazioni nate e cresciute con la televisione, ma che potremmo incominciare a superare dopo 40 anni di personal computer, verso un uso della tecnologia attivo, responsabile, collaborativo.


Dopo di che u
n libro, sapendo un po' come fare e con un po' di pazienza, lo si può produrre anche da soli, così come un breve video anche di qualità. Ma per fare la televisione, scrivere giornali, occorre imparare a lavorare insieme, dividersi tecnicamente il lavoro, bilanciare la parte diciamo umana con la tecnologia, perché questa ci aiuti e non ci sostituisca (se non in casi particolari e per nostra precisa scelta), come avviene quando per esempio il software "monta da solo" le nostre riprese video, o anche quando le app dedicate, rispetto a qualsiasi questione, decidono per noi.

La maggior parte di noi si accosta alla tecnologia del 2020 con la testa del 1960, e questo è un grosso problema!

E comunque, se qualcuno vuol leggere il racconto del Pampiro, mi vuol chiedere il pdf, mi dice se gli è piaciuto oppure no, e magari sapere di più sulle cose che scrivo, di cuore lo ringrazio. 😊

 

domenica 23 agosto 2020

Audio video registrazione in casa

La canzone incomincia così: "Chiuso in casa per la pandemia / che cribbio posso fare?"

Nei miei 20 anni, sapendo strimpellare un po' la chitarra ed essendo pessimo come cantante, avevo composto a orecchio un certo numero di canzoni, non tutte da buttare e qualcuna perfino eseguita in pubblico. Ma erano altri tempi e un'altra storia.

La scorsa primavera, con le ordinanze che ci chiudevano in casa e la mia vecchia idea di fare un video da "sala di registrazione", mi metto dunque al pianoforte (campionato, in una tastiera elettronica) a pestare giù tre accordi. Quello che ne è venuto fuori alla fine, se volete potete ascoltarlo, a vostro rischio e pericolo, è qui.

 

La cosa comunque è tecnicamente interessante.

Per la parte musicale, ho usato una scheda esterna M Audio Fast Track acquistata diversi anni fa, compatibile con PC e Mac ma che, a quanto pare, ha qualche problema con le interfacce USB3, per cui ho dovuto connetterla a un computer vecchio (e qualche volte mi dice che il flusso dei dati non è abbastanza veloce!). Dispone di un attacco XLR per microfono e di uno tipo jack da 6,35 mm per uno strumento musicale. Quindi in questo caso ho potuto per esempio registrare il piano e la voce su due tracce diverse. La scheda veniva fornita con il software Pro Tools SE di AVID che - a parte che con Windows 10 non mi funziona più molto bene - consente la sovrapposizione di molte tracce audio e MIDI. Io il MIDI, dopo averlo provato negli anni 90 quando ancora usavo Amiga, l'ho lasciato perdere e lo conosco solo per quello che vedo fare da amici musicisti veri (anche se alcuni spiriti burloni hanno inserito il MIDI nelle conoscenze "base" - opzionali! - per la patente europea del computer, ma qui siamo decisamente sul surreale!) Comunque era per dire che, dopo le prime due tracce, ne ho sovraincise altre, sempre di strumenti che suonavo io, utilizzando a seconda dei casi il microfono o la connessione jack. Per la precisione: chitarra acustica ritmica e controvoce (insieme, con un antico microfono "casalingo" Sennheiser strepitoso e adattatore HLR-Jack ), basso, chitarra elettrica e "batteria". Il software contiene quello che serve per mixare e allineare le tracce, con anche un numero cospicuo di effetti per il canto, le percussioni, il basso e la chitarra elettrica (nel mio caso, le ho dato una buona voce, ma per quelli che in fondo si aspettano un assolo, beh, non ci siamo, troveranno un'altra cosa!)

Lo scopo non era solo incidere una canzone tutta da solo, ma anche, sempre da solo, vedere se riuscivo a farci un video (abbastanza folle ma, per imparare davvero, meglio di tanti corsi di aggiornamento!). Non un videoclip, ma le registrazioni dei vari "musicisti" (cioè sempre io!) all'opera, sincronizzate con i suoni prodotti.

Piazzo quindi 3 videocamere, un telefonino e una GoPro su treppiedi e supporti vari nella stanza dove registro piano e voce, e accendo tutto prima di incominciare la canzone. Ovviamente qualche volta sbaglio, rifaccio, e mi ritrovo alla fine con 4 video della registrazione giusta, perché la GoPro sul più bello si è messa a scattare fotografie in sequenza (non era quello che le avevo chiesto, ma non la usavo da molto e devo aver sbagliato a toccare qualcosa).

In quei giorni mi sto esercitando con la versione gratis di Da Vinci Resolve e provo a fare il primo montaggio con quello. Non riesco a usare la funzione che sincronizza video diversi a partire da un sonoro comune (posso capire il software: dato che il piano andava direttamente nella scheda, via cavo, quello che hanno potuto registrare le videocamere è la mia voce!) e allora faccio manualmente: per ogni video vado a cercare un punto di aggancio con la base sonora allineando sullo schermo la grafica del suono. Molto artigianale, ma non così difficile in fondo, con zoom al massimo per potermi spostare avanti o indietro con precisione al fotogramma.

 Realizzo così un primo montaggio piano e voce, che non toccherò più.

Dopo di che lascio passare del tempo, mi taglio finalmente i capelli perché i barbieri hanno riaperto, e vado a registrare in modo analogo le tre tracce successive (chitarra ritmica, basso e chitarra elettrica), usando due videocamere e ambientando altrove (compreso un effetto chroma key non particolarmente brillante) e sempre alla fine sincronizzando a mano. Tranne la "batteria" virtuale su touch screen, che avevo provato solo in audio e senza troppa convinzione e che, quando ho deciso di farla entrare nel finale, ho filmato in playback (maluccio, a parte la rullata che sembra quasi vera, ma ormai la cosa mi usciva dagli occhi!) per tre brevi inquadrature.

Per non perdermi nel montaggio con una esagerazione di tracce nell'interfaccia non domata e nella ridondanza sempre in agguato di Resolve, finisco il lavoro con un software che conosco meglio: Magix Pro X.

In coda al video, la didascalia recita: "Social Pandemia / parole, musica, suono, canto video di Paolo Beneventi / in un delirio di megalomania?"

 

mercoledì 10 giugno 2020

Salutare gli alberi!

In questi tempi di pandemia, sto riprendendo alcune mie abitudini solitarie e mi aggiro quando posso in aree verdi periferiche, poco frequentate, raccogliendo immagini di insetti e imparando gli alberi con l’aiuto di un software di riconoscimento.
Per gli insetti cerco di impratichirmi nell’uso della funzione tracciamento delle videocamere. Giro quando posso in 4k, per poter poi ingrandire ulteriormente il macro in HD.
giovane Metasequoia glyptostroboides
Ma lo strumento che considero oggi è un altro. Per il riconoscimento delle piante sul telefonino Android adopero PlantNet. Si fotografa direttamente dall’app, oppure si prendono immagini dalla galleria, e poi si chiede di confrontare le foglie, i frutti, i fiori, la corteccia, all’interno di un immenso data base a cui partecipano gli utenti dell’applicazione, che da tutto il mondo contribuiscono con le loro foto. Compare una lista di riconoscimenti probabili e se si è soddisfatti si conferma l’identificazione, meglio se incrociando più dati, per esempio foglie e fiori (o frutti).

Sembrano operazioni piccole e semplici ma, se ci pensiamo, compiendole stiamo già passando, tranquillamente, da raccoglitori compulsivi e tutto sommato ignoranti di immagini a costruttori di cultura, perché – se lo vogliamo, non è necessario iscriversi, ma forse queste sono le reti per cui vale la pena di mettere in gioco consapevolmente qualche dato, in progetti orizzontali e condivisi, coerenti con il secolo in cui viviamo, e soprattutto a cui partecipiamo come soggetti attivi! - ora è a disposizione del mondo la nostra foto della giovane Metasequoia glyptostroboides, l’abete d’acqua, che non esiste allo stato naturale fuori dalla Cina, e ce ne sono davvero pochi in giro. Questo ha qualche rametto secco, speriamo che non siano il segno di un problema più grave.
Ma poi capita anche, mentre sono lì che fotografo e riconosco, che incrocio proprio il tipo che un giorno ha raccolto un seme sotto uno dei tre alberi adulti di quel tipo esistenti in città e ha provato a
Celtis australis, bagolaro
piantarlo lì.
Incontro casuale ma neanche troppo, a simboleggiare questo tempo in cui virtuale e reale, locale e globale, tecnologia e natura si possono intrecciare in modo semplice e armonioso, se appena ci ricordiamo che al centro stanno gli incontri, le relazioni, le persone.
Per me, è un bel ritorno ai tempi antichi – a cavallo tra gli anni 80 e 90 del secolo scorso - della “Natura in città”, “La Meravigliosa Storia del Pino degli Aghi Lunghi e dei Suoi Amici”, “È interessante la Pigna Volante?”, quando conducevo progetti di animazione ambientale con i bambini della scuola dell’infanzia e imparavo con loro, tra scienza, esperienza, emozione, come è naturale per il bambino piccolo, ancora “nativo scienziato” e poi spesso non è più negli stanchi e ripetitivi apprendimenti successivi, che toccano solo marginalmente le nostre vite e ai più non interessano.

Carpinus betulus, carpino, semi verdi
Riconoscere alberi, fiori, erbe non è facile, non solo perché sono tanti, diversi nelle specie e anche negli individui, ma anche perché questi esseri vivi cambiano con il tempo e le stagioni, esattamente come noi umani, che possiamo avere i capelli più lunghi o corti, i baffi e la barba, vestiti diversi, o anche crescere di statura nell’età bambina o incurvarci nella vecchiaia, ma siamo sempre noi! Per questo per i bambini in particolare, che sentono una naturale empatia con il mondo vivente, è gioia scoprire nell’albero amico il nuovo germoglio, il fiore appena spuntato o che sta ormai appassendo, il frutto acerbo che dopo un po’ si ripassa di lì ed è maturo.

Raccogliere e fare ordine tra le foto è ancora meno facile. Oggi tutti riempiamo i telefonini di immagini, ma poi non le riguardano, non le selezioniamo, e non diventano parte della nostra vita come forse accadeva un tempo con le vecchie stampe, ma vanno ad affollarsi in quella avvolgente impalpabile assoluta ridondanza di informazioni, in fondo alla quale per molti cittadini degli anni 2000 spesso è difficile ritrovarsi. Problema culturale e sociale centrale della nostra epoca, qui solo accennato.
Comunque, anche se a volte non è il caso di azzardare in modo preciso la specie (OK, è un olmo, ma quale?), poi è bello destreggiarsi tra il gelso bianco e il gelso nero (che ha le more decisamente più more!), i pruni e i ciliegi (ma quanti ce ne sono, e quanto diversi!), l’albero di Giuda e il bagolaro,
Fraxinus excelsior, frassino
i tigli in fiore pieni di api e di quelli che gli inglesi chiamano gli scarabei rossi soldati,
e poi i semi di acero, frassino e carpino, che diversamente voleranno tutti come elicotteri!
Mi rendo conto che ancora l’esperienza con i bimbi delle materne condiziona non poco il mio modo di guardare agli alberi, ma forse mi serve anche per capirli di più. E, quando li incontro sul mio cammino, è sempre bello salutarli!

venerdì 10 gennaio 2020

Ma dove ci porta davvero, la tecnologia?

In questi giorni, quando in TV passano i servizi sulle novità tecnologiche, cambio canale, oppure spengo. Non ce la faccio, non voglio sapere!
Dato che di queste cose in fondo mi occupo e scrivo, anche libri nel corso di tanti anni, poi qualcosa andrò a vedere. Ma mi è estremamente difficile condividere non solo il rituale entusiasmo di maniera, ma anche la fiducia che tutte queste idee e novità serviranno a qualcosa nel mondo che verrà.
Mi spiego, negli ultimi 40 anni si sono viste idee sempre più incredibili che – lasciamo perdere le cose per specialisti – offrivano a ognuno di noi, a chiunque praticamente, anche ai bambini, possibilità da fantascienza, il potere veramente, se imparate nel modo giusto, di cambiare il mondo in senso partecipativo, condiviso, democratico, ampliando i sensi e la mente oltre i confini dell’immaginazione.
Ma, a conti fatti, il risultato complessivo è che a tutt’oggi il cittadino medio della società dell’informazione non sa nemmeno tagliare una fotografia! Non solo non sa come si fa, ma spesso nemmeno immagina che può farlo. Perfino i cosiddettinativi digitali”, stanno crescendo ormai sempre più con l’idea che la “tecnologia” stia nel consumare, usare, applicare, app ed effetti pensati da altri, prodotti da altri e offerti gratis o a pagamento, ma che comunque ci si procura sul mercato. Praticamente niente che nasca da noi e dalle nostre autonome capacità o idee.
Mentre la maggioranza degli umani spreca la più grossa occasione di democrazia della storia, il web, cazzeggiando e litigando sui social newtwork, soli e isolati, o arroccati nel proprio gruppo identitario, e arrabbiati, infelici, con poche o nulle speranze di poter contare qualcosa nella vita reale, in politica, in economia. Tanto che sempre più nel mondo “digitale” c’è chi corre dietro a facile e vecchi slogan populisti e si affida, come da sempre nei periodi più bui, agli “uomini forti”.
Sarà per questo che mi risulta stucchevole, addirittura irritante, leggere quello che scrivono certi specialisti su ciò che “potremo fare” grazie agli sviluppi della tecnologia. Chi lo farà, quando, e con quale alfabetizzazione di base?
Sarebbe interessante andare a vedere a ritroso, lungo gli anni, gli articoli e i reportage dalle fiere della tecnologia e segnare quello che poi in effetti è passato, non nelle applicazioni professionali, militari, specializzate, ma nella vita di tutti i giorni. La fiera dello spreco, l’eliminazione sistematica dal “mercato” di tutto c che spiazzava le aspettative più banali (e quindi più redditizie, quelle che fanno vendere di più) del consumatore medio. Il “futuro” che stiamo realizzando è in larga misura quello immaginato negli anni Sessanta, i cartoni animati dei “Pronipoti”: automobili che si guidano da sole, robot e macchine che rispondono a comandi vocali, per non parlare del Grande Fratello che tutto spia e conosce, e non perché una dittatura crudele ce lo impone, ma perché noi stessi, beati e incoscienti, offriamo al pubblico e al mercato ogni momento e particolare della nostra vita.

L’ho scritto, lo ripeto, e spero in futuro di riuscire anche ad essere più convincente: per fortuna basta molto poco, un cambio minimo di atteggiamento, per ribaltare questo quadro fosco e disperato e incominciare a riprenderci la tecnologia, da cittadini consapevoli e attivi. Io lo sperimento continuamente con i bambini e c’è tanta gente che nel mondo lavora nella direzione giusta. È di questo lavoro, di come si possono usare davvero gli aggeggi digitali invece che esserne usati, che dovremmo parlare molto di più, piuttosto che continuare a descrivere lo sviluppo della tecnologia come se seguisse strade sue autonome, a cui noi umani non possiamo fare altro che adeguarci. Anche perché, a dispetto di chi già decenni fa annunciava l’imminente avvento di generazioni di cyborg, i più con gli aggeggi digitali al massimo ci ordinano una pizza! Mentre per milioni di umani sta diventando ormai più facile procurarsi uno smarphone che l’acqua da bere.