martedì 24 gennaio 2017

Elogio della videocamera

Oggi le videocamere amatoriali sono quasi scomparse dai negozi, perché la gente non le usa più. I dilettanti evoluti e anche molti professionisti usano le macchine fotografiche reflex, mentre tutti gli altri fanno i video con i telefonini, per lo più tenendoli verticali, in modo da non correre il rischio di confondere le loro produzioni amatoriali con quelle "vere"! Poi ci sono le action cam, da montare sulla mountain bike, il casco della moto, la prua della Bugatti d'epoca alla Mille Miglia, o da appendere a un drone professionale. E i droni economici e giocattolosi, se pur più sensibili ai colpi di vento, già te li vendono con una leggera e discreta telecamerina, che per pochi euro in più puoi direttamente controllare dallo smartphone o dal tablet, che fanno da monitor e telecomando insieme.

Tecnicamente, da quando le memorie allo stato solido hanno sostituito nastri magnetici e pellicole, la forma dell'aggeggio non è più legata al supporto di memoria. Curiosamente però le macchine fotografiche reflex continuano però ad essere esteriormente molto simili alle loro antenate a 35mm, la qual cosa, rispetto alla videocamere propriamente dette, quando si fa un video presenta lo svantaggio, dal punto di vista dell'ergonomia e della maneggevolezza, di doverle tenere sempre con due mani.

Per chi lavora poi per esempio nella scuola e con i bambini, per chi ha bisogno di frequenti inquadrature rasoterra, sopra la testa o negli angoli, alla ricerca di punti di vista particolari (che per i ragazzi sono interessanti) o di insetti o ragni che non ci stanno a mettersi proprio davanti a noi in posa, avendo in mano un oggetto leggero che si può impugnare saldamente come si vuole, una videocamera è senz'altro più versatile di una reflex, permette di passare dal panorama al super macro senza cambiare obiettivo, ha sempre un schermo orientabile (disponibile sulle reflex solo a un certo livello), ha un microfono incorporato di solito più che soddisfacente, con un rumore di fondo limitato (non obbliga cioè all'uso di un ulteriore microfono esterno), si può dare con più tranquillità direttamente in mano ai ragazzi e, particolare non da poco, costa molto di meno.
Questo ovviamente se non ci serve una qualità video di livello superiore, perché in quel caso il discorso si ribalta, dove sono le reflex a costare meno delle videocamere professionali.

Data la diffusione ormai capillare delle macchine per fare il video, per qualsiasi "film" si realizzi per esempio in una scuola, facilmente si possono utilizzare contemporaneamente molte macchine diverse - come una volta era possibile solo nelle produzioni importanti – mettendo assieme videocamere, macchine fotografiche, telefonini e altro.
Le action cam sono spettacolari, alcune piuttosto convenienti dal punto di vista economico, ma hanno obiettivi super grandangolari che non le rendono indicate per riprese "normali".
I telefonini ormai possono fare di tutto, anche video in super alta definizione (K4), ma date le dimensioni ridotte degli obiettivi, hanno limitazioni nel macro e nello zoom.
Per mettere poi tutto insieme, anche programmi di montaggio economici hanno ormai la funzione "multicam", che permette di sincronizzare le riprese dei diversi dispositivi (ovviamente, se i telefonini sono tenuti verticali, ci sarà poi qualche problema di formato!)

Ieri, per il laboratorio "I film in tasca", con i ragazzi di Siena, ho portato anche una videocamera vecchia di 10 anni, di fascia media, non HD, ma che tra le sue diverse funzioni consente di realizzare riprese all'infrarosso. Abbiamo girato alcune scene al buio, ovviamente di genere horror, e poi le abbiamo scaricate sul computer dalla cassetta mini DV attraverso il cavo e l'interfaccia video firewire(altra cosa ormai scomparsa e quasi dimenticata da più, in questi tempi di obsolescenza ossessiva).
E il risultato, mischiando queste riprese con quella della videocamera HD, è stato decisamente interessante.

giovedì 19 gennaio 2017

Quando nella scuola si sgonfia la bolla digitale...

Premetto: sono un presuntuoso e su certe cose non ritengo vada la pena di ragionarci più di tanto. Cioè, se si hanno idee e progetti e si vogliono portare avanti, non si può passare metà del tempo a confutare le sciocchezze altrui.
Così, quando intravedo in Facebook parole di insegnanti sul probabile sostanziale fallimento del PNSD, non vado a leggere la sfilza lunghissima di commenti, ma suppongo che la sigla (grandi cose le sigle, e la mia preferita attraverso i decenni resta MinCulPop!) per esteso si riferisca al Piano Nazionale per la Scuola Digitale e così, non senza un sorriso di soddisfazione, sono qui a fare alcune considerazioni.
Dunque, la scuola come istituzione (diverso ovviamente il discorso per i docenti che, singolarmente o a gruppi, hanno fatto e fanno cose egregie) di computer, informatica e digitale non ha mai dato l'impressione di capirci molto. Dato che qualche anno e ricordi ce li ho, riassumo.
 
Uso intelligente di aula informatica: programmazione in LOGO
Nel 1985, erano già alcuni alcuni anni che maestri e professori volenterosi cercavano invano di scrivere in BASIC sui Commodore 64 programmi per gestire gli orari scolastici (mission impossible!). La scuola se ne esce allora con il primo Piano Nazionale per l'Informatica, della ministra Falcucci, basato sull'apprendimento del BASIC e dell'MS-Dos. Un colossale sciocchezza, e non col senno di poi - giuro che scappava da ridere anche allora! - perché l'anno prima era uscito il Macintosh ed era assolutamente chiaro che per usare i computer del “futuro” non sarebbe servito imparare a programmare, ma sarebbe bastato un dito! Ma vallo a spiegare al Ministero che i pc saranno d'ora in podi macchine più per letterati, artisti e poeti che per matematici!

Arrivano poi gli anni Novanta, le “aule informatiche” del Ministro Berlinguer: carrettate di pc (e di soldi) spesi per riempire le scuole di ferraglia (hardware), comperate tutte insieme (per poi domani buttarle via tutte insieme). Carrettate di pc di cui nessuno sapeva bene cosa farne, anche perché nessuno dava indicazioni sul loro possibile uso e sui programmi (software). Il modello di aula informatica – per inciso – risale agli anni Sessanta, cioè non c'entra niente con i personal computer, che viceversa – e non col senno di poi, dato che io ed altri lo andavamo ripetendo allora, e per questa stavamo antipatici – nelle scuole andrebbero tenuti in classe e usati quando servono, per scrivere, disegnare, fare simulazioni, grafici, calcoli e quant'altro, utili strumenti per tutte le materie.

Nel frattempo, non solo nella scuola, ma in tutta quanta la società civile, si moltiplicavano i corsi di “informatica” basati essenzialmente sull'Office di Microsoft - magari sarebbe stato meglio chiamarli corsi di dattilografia! - confermando l'idea che per l'appunto l'Office sarebbe la base su cui si misura l'uso dei computer, su cui addirittura si rilascia una Patente Europea! Cioè, se io non so usare tutte le funzioni matematiche di Excel, non posso “guidare” un computer per fare grafica, video o musica, perché non avrei le competenze di base! Follia!
Uso attivo della LIM in una scuola primaria

E venne il tempo delle LIM, l'ennesima “rivoluzione”, con annessa fiera delle bestialità. Sentito con le mie orecchie in convegni ufficiali importanti: “Bisogna mettere le lavagne digitali nelle scuole, perché pensano come loro!” (??? NDR: i “nativi digitali”!) Oppure, ripeto con parole mie quelle di un tizio del ministero: “Non diciamo alle maestre che sotto la LIM c'è un PC, così non si spaventano!”

Poi venne il tempo dei Tablet, magica soluzione per ogni cosa, rassicurante rivoluzione nel segno della continuità, a salvaguardare l'idea di una scuola di libri e lavagne, sì ma digitali! Il pc è superato, il mouse è superato, tutto si fa con un dito che accarezza lo schermo (tutto cosa?). Domanda maligna, a quegli istituti che a un certo punto decidono di imperniare il loro futuro sui tablet (quelli nudi e crudi, originali, senza tastiera annessa): “D'accordo che vanno benissimo per leggere, ma nella scuola non è che vi capita per caso anche di scrivere?).
Anche i gatti sono nativi digitali e "sanno usare" i tablet!

I tablet, per la loro “natura”, sono macchine orientate alla consultazione più che alla produzione, e confermano l'idea corrente che la “rivoluzione digitale” sia poter leggere il giornale e guardare la TV sull'aggeggio portatile. Questo evita che la gente (i consumatori, i cittadini, gli studenti) si rendano conto che i giornali e la TV, usando i PC, la rete, l'intelligenza e soprattutto collaborando tra gli umani, oggi possiamo letteralmente farceli da noi!

Poi, finalmente, il Coding! Cioè, in una scuola dove la stragrande maggioranza di docenti e anche di ragazzi non sanno tagliare una fotografia, dove le attività anche le migliori di regola (a parte le eccezioni di pochi insegnanti benemeriti, volenterosi e spesso mal visti dai colleghi) non vengono documentate o lo sono in modo improvvisato e approssimativo, cioè si è rinunciato in partenza a quella produzione di memoria che è il senso forse più profondo dell'era “digitale”, in questa scuola ferma a decenni fa, adesso tutti si mettono a studiare programmazione! Eeeh?

Chiedo scusa, ma se ora l'idea di una scuola "digitale", popolata di ossimori (gli animatori digitali, dove l'animazione è per sua natura euristica, il digitale algoritmico, concetti e metodologie che non stano bene insieme, proprio no!), docenti messi lì dai colleghi più furbi a barcamenarsi per trovare un senso educativo e didattico in definitiva ai capricci del mercato, questa idea davvero sta perdendo appeal e consensi, allora è un buon giorno per la scuola italiana. Un'occasione forse - se la si vuole cogliere - per ripartire dai bambini, dai ragazzi, dalle persone che nella scuola ci lavorano, e trovare magari un senso vero vissuto, necessario anche alla tecnologia, che a questo punto si potrebbe rivelare finalmente – sorpresa! - non solo utile, ma bella, facile e perfino divertente!