Premetto: sono un
presuntuoso e su certe cose non ritengo vada la pena di ragionarci
più di tanto. Cioè, se si hanno idee e progetti e si
vogliono portare avanti, non si può passare metà del tempo a
confutare le sciocchezze altrui.
Così, quando
intravedo in Facebook parole di insegnanti sul probabile sostanziale
fallimento del PNSD, non vado a leggere
la sfilza lunghissima di commenti, ma suppongo che la sigla (grandi
cose le sigle, e la mia preferita attraverso i decenni resta
MinCulPop!)
per esteso si riferisca al Piano
Nazionale per la Scuola Digitale e
così, non senza un sorriso di soddisfazione, sono qui a fare alcune
considerazioni.
Dunque, la scuola come
istituzione (diverso ovviamente il discorso per i docenti che,
singolarmente o a gruppi, hanno fatto e fanno cose egregie) di
computer, informatica e digitale non ha mai dato l'impressione di
capirci molto. Dato che qualche anno e ricordi ce li ho, riassumo.
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Uso intelligente di aula informatica: programmazione in LOGO |
Nel
1985, erano già
alcuni alcuni anni che maestri e professori volenterosi cercavano
invano di scrivere in
BASIC
sui
Commodore 64 programmi per gestire gli orari scolastici (
mission impossible!).
La scuola se ne esce allora con il primo
Piano
Nazionale per l'Informatica, della ministra Falcucci, basato
sull'apprendimento del
BASIC e dell'
MS-Dos.
Un colossale sciocchezza, e non col senno di poi - giuro che scappava
da ridere anche allora! - perché l'anno prima era uscito il
Macintosh
ed era assolutamente chiaro che
per usare i computer del
“futuro” non sarebbe servito imparare a programmare, ma
sarebbe
bastato un dito! Ma vallo a spiegare al Ministero che i pc
saranno d'ora in podi macchine più per letterati, artisti e poeti
che per matematici!
Arrivano poi gli anni
Novanta, le “aule informatiche” del Ministro
Berlinguer: carrettate di pc (e di soldi) spesi per riempire le
scuole di ferraglia (hardware), comperate tutte insieme (per
poi domani buttarle via tutte insieme). Carrettate di pc di cui
nessuno sapeva bene cosa farne, anche perché nessuno dava indicazioni sul
loro possibile uso e sui programmi (software). Il modello di aula
informatica – per inciso – risale agli anni Sessanta,
cioè non c'entra niente con i personal computer, che
viceversa – e non col senno di poi, dato che io ed altri lo
andavamo ripetendo allora, e per questa stavamo antipatici – nelle
scuole andrebbero tenuti in classe e usati quando servono, per
scrivere, disegnare, fare simulazioni, grafici, calcoli e
quant'altro, utili strumenti per tutte le materie.
Nel frattempo, non solo
nella scuola, ma in tutta quanta la società civile, si
moltiplicavano i
corsi di “informatica” basati
essenzialmente sull'
Office di Microsoft - magari sarebbe stato
meglio chiamarli corsi di dattilografia! - confermando l'idea che per
l'appunto l'Office sarebbe la
base su cui si misura
l'uso
dei computer, su cui addirittura si rilascia una
Patente
Europea! Cioè, se io non so usare tutte le funzioni matematiche
di Excel, non posso “guidare” un computer per fare grafica, video
o musica, perché non avrei le competenze di base! Follia!
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Uso attivo della LIM in una scuola primaria |
E venne il tempo delle
LIM, l'ennesima “rivoluzione”, con annessa fiera delle
bestialità.
Sentito con le mie orecchie in convegni ufficiali
importanti: “Bisogna mettere le lavagne digitali nelle scuole,
perché pensano come loro!”
(??? NDR: i “
nativi
digitali”!) Oppure, ripeto con parole mie quelle di un tizio del
ministero: “Non diciamo alle maestre che sotto la LIM c'è un PC,
così
non si spaventano!”
Poi venne il tempo dei
Tablet, magica soluzione per ogni cosa, rassicurante
rivoluzione nel segno della continuità, a salvaguardare l'idea di
una scuola di libri e lavagne, sì ma
digitali!
Il pc è superato, il mouse è superato, tutto si fa con un dito che accarezza lo schermo (tutto cosa?). Domanda maligna, a quegli istituti che a un certo
punto decidono di imperniare il loro futuro sui tablet (quelli nudi e
crudi, originali, senza tastiera annessa): “D'accordo che
vanno
benissimo per leggere, ma nella scuola non è che vi capita per
caso anche di
scrivere?).
I tablet, per la loro
“natura”, sono macchine orientate alla
consultazione più
che alla
produzione, e confermano l'idea corrente che la
“rivoluzione digitale” sia poter
leggere il giornale e
guardare la TV sull'aggeggio portatile. Questo evita che la
gente (i consumatori, i cittadini, gli studenti) si rendano conto che
i giornali e la TV, usando i PC, la rete, l'intelligenza e
soprattutto collaborando tra gli umani, oggi
possiamo letteralmente farceli da noi!
Poi, finalmente, il
Coding! Cioè, in una scuola dove la stragrande maggioranza di
docenti e anche di ragazzi
non
sanno tagliare una fotografia, dove
le attività
anche le migliori di regola (a parte le eccezioni di pochi insegnanti benemeriti,
volenterosi e spesso mal visti dai colleghi)
non vengono
documentate o lo sono in modo improvvisato e approssimativo, cioè
si è rinunciato in partenza a quella
produzione di
memoria che è il senso forse più profondo dell'era
“digitale”, in questa scuola ferma a decenni fa, adesso tutti si mettono a
studiare programmazione!
Eeeh?
Chiedo scusa, ma se ora l'idea di una scuola "digitale", popolata di ossimori (gli
animatori
digitali, dove l'animazione è per sua natura
euristica,
il digitale
algoritmico, concetti e metodologie che non stano bene insieme, proprio no!), docenti messi lì dai colleghi più furbi a barcamenarsi per trovare un senso educativo e didattico in definitiva ai
capricci del mercato, questa idea davvero sta perdendo
appeal e consensi, allora è
un buon giorno per la scuola italiana. Un'occasione forse - se la si vuole cogliere - per
ripartire
dai bambini, dai ragazzi, dalle persone che nella scuola ci
lavorano, e trovare magari un senso vero vissuto,
necessario anche
alla
tecnologia, che a questo punto si potrebbe rivelare finalmente –
sorpresa! - non solo utile, ma bella, facile e perfino
divertente!