venerdì 1 aprile 2016

C'è una app per tutto? Ma anche no, per carità!

Ci sono applicazioni che servono per fare le cose. Una volta le chiamavamo “programmi” o “software”. Servono per scrivere questo articolo, per elaborare una foto, per fare musica, per collegarsi alla rete come utente o per organizzare il proprio sito web o il blog. Vanno installate sul computer, telefonino, tablet, oppure sono utilizzabili direttamente on line. Cosa sia meglio, dipende dalle circostanze, dai gusti, dalle abitudini di ognuno.
Io per esempio, per scrivere cose come questo articolo preferisco in genere lavorare off line con un programma di testi installato nel computer e poi incollare quello che ho scritto nella maschera del blog, che si basa invece se un software residente in rete. A volte mi capita di avere idee mentre sono in giro, e allora incomincio a scrivere direttamente dallo smartphone, depositando il contenuto in rete in uno spazio mio nel cosiddetto cloud, che è sincronizzato con tutti i dispositivi che uso. Di modo che poi possono continuare il lavoro con il tablet, il pc portatile, o anche il tower di casa. Ci sono programmi per cui adopero solo il pc grande, per esempio per montare i video, utilizzando due monitor. Mentre il software per accordare la chitarra è decisamente più comodo sul telefonino!
Ci sono però app che non sono programmi veri e propri, ma più propriamente “scorciatoie” verso pagine web, che in maniera più agile e rapida mi collegano direttamente alla banca, al provider telefonico, all'agenzia di viaggi, e così via. Se sono servizi che uso spesso, conviene installarle. Convengono anche per esempio quelle che da una sola schermata di partenza consentono di accedere a gran quantità di giornali, TV, radio.
Ma se un servizio lo utilizzo solo una volta ogni tanto, oppure se il link alla pagina di Wikipedia mi viene dato in tempo reale da un motore di ricerca, eventualmente combinato con un “assistente personale”, il tutto con la rapidità del wi-fi o del 4G, è molto più comodo e agevole usare un solo browser, eventualmente con la sua bella lista di “preferiti”, che non una quantità spropositata di app, che mi intasano inutilmente la memoria del telefonino.

E invece, siamo alle solite. Nel momento in cui si introducono le innovazioni, a decine, a centinaia, ogni “innovatore” che ci si propone si comporta come se ci fosse solo lui. Tutti, per “facilitarci la vita”, ci impongono un nome utente e una password, e adesso anche ci vincolano ad una apposita app, naturalmente da scaricare e installare. Decine, centinaia di app, che ci consentono di fare cose prima impossibili come, per esempio, ordinare una pizza!

Ognuno ovviamente col suo telefonino e tablet ci fa quello che vuole ma, tra gli effetti collaterali di questa inflazione di app monouso e monodose, a prova di analfabeti, c'è proprio una caduta tendenziale del tasso di alfabetizzazione necessaria per poter utilizzare gli aggeggi digitali che, se da un lato permette a tutti, proprio a tutti, di usarli (democrazia?), dall'altro abbassa il livello di consapevolezza collettiva di quelli che in fondo sono soltanto i linguaggi su cui si basa la società dell'informazione, che ormai tutti parlano, che pochi sanno leggere e sempre meno, in percentuale, sanno e sapranno scrivere.
Così, non solo i computer, che sono le macchine con cui si fa la società dell'informazione, ormai appaiono nell'immaginario collettivo come dispositivi obsoleti e in via di estinzione, perché su facebook si va più comodamente con un tablet (!), ma la stessa rete telematica planetaria viene sempre più frequentata da gente che forse nemmeno lo sa di essere in rete, che vi accede come a un supermercato globale che offre servizi ai suoi clienti, senza più neanche l'idea che ci sono rotte attraverso cui si può navigare, link che magari potremmo organizzarci noi, perché ogni indirizzo e ogni funzione vengono raggiunti direttamente attraverso un apposita app.
È la morte del web, la rinuncia alla cittadinanza attiva digitale, la “comodità” che alla lunga uccide la consapevolezza del mondo, virtuale o reale che sia, in cui viviamo.
Fino a ieri si diceva: vai a vedere il nostro sito.Troppo difficile! Ora si dice direttamente: scarica la app! E il processo di de responsabilizzazione è completo!

Forse non è una caso se in anni recenti, alla sempre più planetaria e capillare diffusione di “tecnologia”, non si può certo dire corrisponda un aumento dei livelli di partecipazione democratica, dialogo, conoscenza reciproca e collaborazione tra gli umani. Ma si tratta di due discorsi che forse non hanno alcuna relazione tra di loro, anzi, sicuramente richiedono due app differenti!

5 commenti:

  1. Ahimè, quanto hai ragione! D'altra parte succede così per tutte le invenzioni. Le prime automobili, chi le guidava era poco meno di un meccanico... Ora nessuno sa non dico di guardare le valvole, ma neanche rabboccare l'olio. La prossima generazione userà la realtà aumentata senza sapere cos'è...

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    1. Il problema è purtroppo un altro. Anche se pochi conoscono un'automobile come è fatta dentro, tutti sappiamo che serve per viaggiare. A cosa può servire un computer invece, pochissimi lo sanno davvero!
      Soprattutto, per un certo mercato e una certa politica, è importante che la gente non arrivi a capire che, usando in modo opportuno le macchine digitali di oggi, tutti possiamo diventare autori, editori, produttori di informazione.
      Abbiamo aggeggi sempre più facili e potenti, con cui rischiamo però di fare concretamente sempre di meno. Tratte una élite ristretta che in qualche modo è arrivata, in un modo o in un altro, ad una conoscenza superiore...

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  2. Non so, le riflessioni che fai nell'articolo sono tutte sottoscrivibili, sull'idea che ci sia un potere (così organizzato da..) che eterodirige le nostre menti, le nostre prassi, il modo e il tipo di oggetti di cui disponiamo, non so... Io sono un po' fiducioso che spesso le nuove idee e quindi le nuove invenzioni siano il frutto di cultura e intelligenza, certo vincolate da interessi economici, ma non sempre in maniera determinante (Uber insegna che si può vincere anche contro i grandi monopoli). La gente di sua sponte non capisce le potenzialità delle tecnologie, app comprese, non diventano autori (però mai come oggi fioriscono blog e pagine web veramente belle ed utili, ad es. http://www.davidrumsey.com/ ). Tocca alla scuola svolgere questa funzione maieutica della cultura/coscienza racchiusa nella scatola cranica degli esseri umani. Il pericolo non sono gli aggeggi, lo è il fatto che la scuola si sia arresa alla facilità degli aggeggi, demandandone una funzione che non appartiene all'hardwware o al software, ma al cuore di chi ama educare.

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  3. Massimo, io non sono tra quelli che credono nel potere organizzato (i potenti fanno un sacco di mosse a vanvera e si combattono tra di loro), ma il problema è un altro.
    L'altro giorno incontro un amico che non vedevo da tempo e mi chiede: "Ma si usano ancora i blog?"
    Un errore che a volte commettiamo e di pensare le cose a partire da un livello di competenza e di esperienza che molti meno “informati” non hanno. Presupponiamo che i “nativi digitali”, siccome sono sempre on line, sappiano fare un ricerca. Parliamo di ebook e stampa, senza tenere conto che metà degli italiani non leggono un libro in un anno!
    Se io dico: “Ti interessano i miei servizi? Vai a vedere sul mio sito!” Anche l'ultimo degli sprovveduti si ritrova sul web, forse comincia a conoscerlo, e magari capisce anche che ci potrebbe fare qualcosa anche lui.
    Se invece dico: “Scarica la mia app!” (a parte la follia di ritrovarsi con centinaia di app sul telefonino, quando ne basterebbe una sola!), si ritorna al vecchio rapporto produttore-consumatore e l'idea stessa di rete, che già faceva fatica a essere compresa, scompare del tutto dall'orizzonte dei cittadini passivi, con conseguenze culturali, sociali e politiche immediatamente regressive e potenzialmente devastanti.

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    1. "scarica la mia app", abbiamo veramente paura di questo invito? Ovvio dietro c'è tutto un interesse economico, magari anche culturale. Io dico solo che credo in una buona percentuale di giovani, e non (la mia generazione ad esempio) che oltre ad aderire a quell'invito, fanno un passetto in avanti, si incuriosiscono, scoprono app interessanti, utili, le usano, magari dopo si domandano se è poi così difficile scriverne qualcuna, e poi ci provano, oppure creano ebook, oppure..... insomma tante possibilità. Quell'invito, per tanto che cerchi di renderci cittadini passivi, in alcuni di noi, di molti giovani, invece produce l'effetto contrario, un sano interesse consapevole nei confronti della tecnologia e delle sue molteplici sfaccettature. Credo proprio essere questo il cuore del perché ancora oggi io e tanti altri rimaniamo "affascinati", ma anche "intellettualmente intrigati" da questi oggetti che popolano il nostro ecosistema. Alla battuta del tuo amico sul Blog gli avrei risposto, sì certo, si usano come io ancora oggi uso il Paint di Windows e non me ne vergogno, perchè alcune volte funziona meglio di Photoshop (ad esempio se fai Pixelart isometrica). E comunque sono ancora, come tanti, uno di quelli che lascia i Post-it gialli alla moglie per dirle di ricordarsi di comprare il pane, non mi viene ancora di scriverlo su whatsup,.....sarà perchè sono vecchio? Comunque leggo veramente con piacere questo Blog e non rispondo da Fb, perchè i Blog non devono morire,...riferisciglielo al tuo amico. ;-)

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